di Sara Di Somma
Si chiama Paolo Scaroni ed è appassionato di calcio. Segue da sempre la sua squadra del cuore, il Brescia, ma nel 2005 la sua passione gli è quasi costata la vita. Dopo una partita contro l’Hellas Verona, che Paolo aveva seguito dagli spalti, il giovane è rimasto coinvolto in uno scontro con la polizia che, ancora oggi, desta scandalo e sospetto nella famiglia del giovane quanto nell’opinione pubblica.
Paolo Scaroni, in quel tragico 24 novembre che avrebbe potuto essere una giornata dedicata allo sport come tante altre, è stato aggredito e malmenato dagli agenti di Polizia, finendo in coma per ben due mesi e riportando danni fisici che ne hanno causato l’invalidità. Le gravi lesioni subite dal giovane che – dopo essere stato picchiato a colpi di manganello ha finanche avuto difficoltà ad essere soccorso a causa dell’ostracismo degli stessi agenti coinvolti nell’episodio – hanno indotto la Procura della Repubblica di Verona ad aprire un procedimento giudiziario a carico di alcuni poliziotti e funzionari identificati come responsabili dell’accaduto.
Eppure, ancora oggi a quasi 8 anni dall’evento che ha sconvolto la sua vita, Paolo Scaroni è in cerca di giustizia. “Ho perso il lavoro – scrive – sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni. Ho perso la ragazza. Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri calvari a causa delle mie condizioni fisiche). Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al Rispetto, alla Dignità, alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza”.
Le indagini, infatti, hanno confermato la colpevolezza degli agenti, ma in alcun modo è possibile agire contro i singoli aggressori: durante la carica ai tifosi, peraltro giudicata non autorizzata, gli indagati erano a volto coperto, pertanto non è stato possibile identificarli quali autori materiali dell’aggressione. La sentenza emessa in primo grado che ha portato all’assoluzione degli imputati per assenza di prove ha, inoltre, specificato che le lesioni avrebbero potuto causare la morte di Paolo, che i colpi sono stati scagliati con un manganello il cui uso non era e non è tutt’ora ammesso dal Ministero dell’Interno, che il lancio di lacrimogeni poteva considerarsi eccessivo per la situazione creatasi e che le riprese delle forze dell’ordine potevano essere state manomesse poichè dalle immagini non è possibile risalire al momento della carica da parte degli agenti.
Nonostante l’evidenza, insomma, non ci sono colpevoli per quanto accaduto a Paolo Scaroni che, adesso, non può fare altro che promuovere una petizione online per accertarsi che quanto accadutogli non possa ripetersi ancora. Una richiesta semplice la sua, che chiede all’opinione pubblica di firmare affinchè il Ministero dell’Interno stabilisca di fornire gli agenti di Polizia di un codice identificativo che, apposto sulla divisa, ne consentirebbe l’immediato riconoscimento in caso di reati penalmente perseguibili, anche se commessi a volto coperto. “I codici identificativi non sono penalizzanti in alcun modo per le forze dell’ordine – scrive ancora Paolo – che non hanno nulla da nascondere, anzi rappresenterebbero anche per loro l’opportunità di riacquisire credibilità”.
8 novembre 2013