lunedì, Maggio 6, 2024
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La cultura dell’urgenza: un pericoloso autogol

Viviamo in un mondo sempre più veloce e iperconnesso che contribuisce a creare e al tempo stesso a valorizzare, la cultura dell’urgenza e dell’immediatezza: quella che mette gli individui sotto pressione per dover essere sempre in movimento, svolgere rapidamente i propri compiti ed essere costantemente disponibili – grazie alla messaggistica istantanea, ai social media e alla connettività mobile – per esigenze lavorative e di ogni genere.

 

Spesso una falsa urgenza, che nella fretta non distingue più ciò che è importante da ciò che lo è di meno, che nel non pensare appiattisce tutto: tutto è uguale e quindi non rilevante per me.

E’ l’atteggiamento che vediamo ogni giorno intorno e tra noi: ilcontrollarespasmodicamente gli aggiornamenti dei social nel timore di perdersi qualcosa, il rispondere immediatamente a qualunque chiamata o messaggio, il vivere sempre di fretta, l’essere sempre attivi ad ogni costo. Una ipervigilanza autocentrata che fa schizzare in alto i livelli di ansia e stress, sino a renderli cronici e fortemente a rischio per la salute.

Secondo il rapporto “Stress in America 2023 dell’American Psychological Association, più di un terzo dei millennials si sentono permanentemente  ansiosi e stressati; in Italia, secondo una ricerca dell’Osservatorio sanità di Unisalute, il 47% degli under 30.

Una cultura dell’urgenza può avere un impatto negativo sulla salute fisica, emotiva e mentale.

La costante sovrastimolazione induce aumento del ritmo respiratorio, della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, dei livelli di colesterolo, diminuzione del sonno e disturbi flogistici.

E favorisce perdita dell’equilibrio emotivo, comportamenti compulsivi e modelli di pensiero negativi, riducendo la gioia.

Ma anche investe in modo rilevante la sfera della relazione con se stessi e con gli altri.

Questo è uno degli aspetti più problematici di questa cultura frenetica fatta di produttività, superlavoro, competizione, dipendenza dalla fretta, assenza di equilibrio; una cultura che si autorigenera continuamente all’’infinito.

Rende infatti difficile il fermarsi, il riflettere, il concentrarsi, il concepire un progetto, il maturare una visione di lungo periodo.

Il burnout innescato da questi processi determina a cascata: processi decisionali affrettati, superficialità di analisi con eliminazione pressoché totale di qualsivoglia forma di creatività, senso costante di insoddisfazione.

Ma anche una sistematica riduzione del tempo dedicato alle persone care, alle relazioni di amicizia, agli interessi extralavorativi, come il volontariato. Sino a stati emotivi ed esistenziali di tensione o addirittura di distacco verso gli altri.

Come ha scritto lo psicanalista Kaes, nella cultura dell’urgenza “il tempo breve prevale sul tempo lungo, privilegia l’incontro sincronico qui ed ora, sfugge alla storia”. E’ la piaga del presentismo individuale come unica dimensione della realtà: non esiste più il passato o il futuro, la storia fatta di persone ed eventi, ma soltanto l’oggi personale, ciò che vivo io.

In una società alle prese con problemi globali e complessi, non abbiamo certo bisogno di semplificazioniindividualistee conformiste centrate su consumo e competizione, bensì dell’alternativa di un “noi”, cioè di un senso di appartenenza collettiva, la chiave – forse la più importante – per costruire una società migliore.

Mario De Finis
Mario De Finis
Docente, formatore e autore di testi in ambito universitario. Credo che promuovere insieme una cultura inclusiva e di pace, ispirata da amicizia e solidarietà, possa cambiare la vita e la storia. A partire dai giovani e dai più fragili.
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