
“TAO, tutto bianco tutto sporco”, ecco il titolo del nuovo cortometraggio diretto da James La Motta, attore e regista napoletano, uomo da sempre attivo sul sociale, e che da sempre usa la sua arte cinematografica per mettere in risalto problematiche di enorme impatto umano. Anche questa volta il tema trattato è molto complesso, il diritto alla genitorialità delle persone detenute nello specifico, un corto rientrante in un ampio progetto, “Chiavi di Libertà” il cui obiettivo è quello di garantire crescita e integrazione sociale dei figli dei detenuti, ampiamente sposato dal regista pluripremiato. Sì, perché per molti essere genitori in carcere è una sfida di scarsa rilevanza, ma nella realtà molto difficile da affrontare: nessuno insegna come tenere in piedi un rapporto con un figlio mentre si è reclusi e lui cresce fuori, nessuno prepara a vedere un figlio piangere durante il colloquio, a doverlo salutare dopo 45 minuti… Vero, chi è detenuto ha commesso un errore, spesso grave, ma resta una persona, e spesso anche un genitore. Ma poi, pensiamo mai ai figli? La parte più silenziosa di questa storia sono proprio loro, invisibili ma profondamente coinvolti. A complicare il quadro, c’è il peso dello stigma sociale: i figli dei detenuti si trovano spesso a fare i conti con veri e propri pregiudizi a scuola, nel quartiere e persino all’interno della cerchia di amici, un’etichetta non meritata e che può portare ad un isolamento, al bullismo e al senso di vergogna, impedendo loro di parlare apertamente della propria situazione e di chiedere aiuto. Tutti, in un modo o nell’altro, portano dentro il peso di un’assenza difficile da spiegare. In Italia, il diritto alla genitorialità dei detenuti è tutelato da un insieme di norme che mirano a preservare il legame tra genitori reclusi e figli, nel rispetto dei diritti fondamentali dell’infanzia e della famiglia, questo è fuori dubbio, ma umanamente riusciamo ad immedesimarci nell’animo del genitore detenuto e del figlio? Può davvero esistere la genitorialità dietro le sbarre?
A questa e ad altre domande ha provato a rispondere TAO che, attraverso delle scene cinematografiche interpretate con maestria dall’intero cast e dal suo regista James La Motta, riesce a far riflettere tutti noi. Pochi giorni fa ho avuto il piacere di parlare proprio con il noto regista che ha concesso un’intervista sulla sua esperienza per RoadTv Italia:
Bentrovato James. Parlaci un po’ più nel dettaglio di Tao
Ciao Fabio, è sempre un piacere ricontrarti.
TAO (Tutto Bianco – Tutto Sporco) è un’opera filmica che fa riflettere, dalle note agrodolci e soprattutto parla di rapporto padre – figli ed il diritto alla genitorialità e nel caso specifico di un padre detenuto. Un corto anticamorra e Gomorra, di una Napoli in rivalsa e di speranza dando voce a chi non ha voce. E di speranza per chi ha errato, ovvio con una pena minore ma di reintegro, soprattutto nel rapporto con i propri cari.
Non sei solito essere regista di soggetti non tuoi. Tao nasce però da un’idea di Mariagrazia Siciliano, Presidente dell’Associazione Liberass: come mai allora questa tua scelta?
Sono stato felicissimo di essere stato scelto alla direzione di questo lavoro per più e più motivazioni, ma quella principale per il soggetto e la sceneggiatura. Un’idea pazzesca quella di Mariagrazia e con la penna di Chiara Macor con cui ci siamo confrontati più e più volte per rendere tutto fluido e credibile, chiave vincente per essere apprezzato un lavoro cinematografico, seppur si è nella finzione. In questo caso, una verità assoluta e senza nessuna altisonanza perché girato tutto interamente nelle carceri di Secondigliano.
Tao fa parte di un progetto molto ampio, “Chiavi di libertà”, nome che risulta ad hoc per il tema: cosa rappresenta e quando nasce l’idea?
Un progetto ampio e potente per le varie iniziative che sono state create in tutte le sue forme artistiche per dare risalto a tutti quelle tematiche sociali. Mariagrazia Siciliano oltre ad essere la presidentessa del festival Corto Campi Flegrei, dapprima è un’Avvocata e grazie alla sua esperienza nel campo legale ha unito passione, il cinema e il suo lavoro e non appena ha partecipato al bando che prevedeva rappresentare in ogni forma un messaggio legato ai detenuti. Ha avuto questo lampo di genio di scrivere un soggetto potente e che lanciasse un messaggio ancor più potente. E ad occhi chiusi appena me lo ha comunicato le ho detto si ci sto!
Da sempre metti in scena temi a forte impatto sociale. Qual è la sfida maggiore nel tradurre un tema così complesso come la genitorialità dei detenuti e i sentimenti dei figli in una narrazione cinematografica coinvolgente e accessibile?
Raccontare la verità in modo credibile senza scadere in cliché banali e gomorroidi e dare anche della poesia in un posto, quale il carcere, da sempre etichettato per quello che è. Ma invece anche per me una grande scoperta di fucine di talenti.
Le scene sono state girate nel carcere di Secondigliano: con che clima sei stato accolto?
Ho fatto più incontri con i detenuti e soprattutto sopralluoghi, per vivermi l’ambiente e pensare alle inquadrature. Il clima sempre bello e di grande disponibilità.
Tao ha un cast di grande rilievo, basta citare ad esempio Patrizio Rispo, Adele Pandolfi, Antonio Buonanno …
E tante altre anche, le levi più giovani talentuose, tra cui Francesco Fariello, Silvia Gaetano, Antonio Vella, Daria Giglio, Chiara Porzio, Andrea Sicilianoed Anna Calemme che ci ha donato anche le sue doti canore oltre ad un cammeo nel ruolo della proff. E diversi detenuti che hanno superato i casting. Tutti uniti hanno realizzato un grande lavoro.
Quanto è difficile rappresentare la realtà senza cadere nei cliché?
Difficilissimo, è un eterno board line e questo lavoro mi ha messo spesso a dura prova.
C’è un tema sociale che vorresti affrontare ma che non hai ancora avuto l’opportunità o il modo di raccontare?
Sì, raccontare la “vincibilita”, perché i vinti sono visti come ultimi e derisi ma invece hanno un mondo da raccontare.
Dove e quando si potrà vedere Tao?
Presto, al cinema.
Domanda la cui risposta potrebbe essere molto ampia: ma il cinema può davvero cambiare la società?
Fatto in maniera sana e con grande professionalità sì, perché è un grande mezzo di comunicazione.
Voglio ringraziare anche tutta la mia crew e gli altri che hanno supportato per la realizzazione del corto TAO (Tutto Bianco Tutto Sporco)
Ringraziando ancora James La Motta per la sua disponibilità, ricordiamo che TAO (tutto bianco – tutto sporco) sarà molto presto nelle sale dei cinema, un’occasione di riflessione per tutti noi: riconoscere la genitorialità dei detenuti deve essere un imperativo sociale e morale.