di Redazione
Napoli – “Ho la sensazione di essere un reduce dopo una battaglia”. Sono parole di Roberto Saviano, pronunciate questa mattina nell’aula 115 del Tribunale di Napoli, dove si è recato in qualità di testimone nel processo a carico dei boss del clan dei Casalesi Francesco Bidognetti e Antonio Iovine e dei loro legali, gli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello. Gli imputati sono chiamati a rispondere dell’accusa di “minacce aggravate dall’articolo 7″ – in pratica, dalla finalità mafiosa – ai danni dello scrittore di Gomorra.
Ha parlato a lungo Saviano, sollecitato dalle domande del pm Antonello Ardituro, raccontando delle minacce e delle intimidazioni, della vita che si è lasciato alle spalle e di quella che, forse, non si è scelto. Uno scrittore diventato simbolo della lotta alla mafia, sotto scorta da quando, nel 2008, durante il processo Spartacus 2, l’avvocato Santonastaso lesse, durante un dibattimento in aula, una nota firmata dai due boss di Casale, in cui veniva richiesto lo spostamento del processo in altra sede per legittima suspicione, ma soprattutto venivano avanzate vere e proprie minacce a Saviano, alla giornalista Rosaria Capacchione, ai magistrati Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho.
“Non ho avuto paura di Bidognetti o Iovine, figuriamoci – ribadisce Saviano in aula – Ma ho avuto paura che si potesse fare una cosa del genere in un’aula di giustizia”. Poi si sofferma sulla sua vita “sotto scorta”, sulla difficoltà a mantenere rapporti con la propria famiglia, sulla condizione di uomo libero solo se lontano dalla sua patria, solo se affrancato dalla sua stessa identità.
Il silenzio cala nell’aula, ma un’ultima beffa sembra preparata ad hoc dagli avvocati degli imputati: un tentativo di screditare Roberto Saviano, facendo riferimento alle recenti polemiche ed accuse per plagio. Un tentativo che ha causato l’indignazione di Ardituro: “questo non è il processo a Saviano, lui è qui oggi in qualità di testimone”.
7 ottobre 2013
This post was published on Ott 7, 2013 16:39
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