Istantanee al tempo del Coronavirus – 2^ parte

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Il covid-19, il famigerato coronavirus, ci ha sconfitto.

Anche dove non è riuscito a prendersi i nostri corpi, ci ha circondato di lutti, dolore, inquietudine, ha stravolto le nostre abitudini, ci ha messo in fuga da noi stessi, ognuno nella propria casa, chiusa come un carcere.

Eppure il tempo passerà, e il tempo sconfiggerà il coronavirus, costringendolo a rintanarsi nella memoria collettiva, fra i ricordi spiacevoli.

Scriviamo per quei giorni, giorni in cui sarà possibile dimenticare e andare oltre, giorni in cui sarà una scelta il pensare al virus, e non un’ossessione. Ma scriviamo anche per questi giorni, di solitudine e ansia, e scriviamo per lasciare tracce, come sempre, e condividere le nostre vite ora tutte uguali, sentendone il bisogno.

Scrivere è il nostro antidoto al nulla, nessun virus cancellerà queste pagine.

Andrà tutto bene.

Questi nostri poveri libri

Abituali compagni di viaggio, i libri sono stati per molti di noi un’ancora di salvataggio in questi giorni di confusione, senza aria e senza certezze. Ci hanno aiutato e tuttora ci aiutano a guardare fuori, a non pensare all’oggi e fuggire magari in un mondo senza tempo e senza troppi rischi.

Da editore, fa un certo effetto vedere in casa editrice cartoni pieni di libri nuovi, costretti anche loro a una imbarazzante quarantena, ora proprio che potrebbero darci una mano, alleggerire il nostro tempo vuoto, regalarci un sorriso o una riflessione.

Fa male pensare a quante librerie rischiano di non poter riaprire: è un’attività che a volte, soprattutto nel nostro Meridione, confina con l’incoscienza. È la passione che ci spinge, noi editori “puri” che crediamo ancora nel valore delle idee, e voi librai che intorno a questo valore costruite una vita intera. Siamo con voi, adesso, come sempre.

Siamo con gli amici di sempre, con Iocisto che non si è mai fermata, con Raffaello che guarda già oltre con la rivista e nuove iniziative, con Mooks che attende di ripartire in una nuova sede, e oltre, con le nuove librerie del centro, con Francesco Wurzburger, e oltre, fra le librerie di frontiera della provincia napoletana, e oltre: siamo con voi.

Leggere è un piacere che non vogliamo negarci, ed è qualcosa che ci unisce. Da questa unione ripartiremo, per dialogare con tutte quelle persone che magari proprio in questi giorni hanno recuperato il gusto di un buon libro, ne hanno riscoperto il valore, e ora aspettano di rincontrarci.

Il tempo ci restituirà entusiasmo: abbiamo tante pagine da scrivere insieme.

Quarta domenica di quarantena: il fonema iniziale è uguale, peccato che la fine delle parole indica altro. Appollaiata sul divano di casa farfuglio idee, ibride sensazioni si scambiano dati con fattori reali. Leggo distratta articoli di giornale e ancora più svogliatamente scrivo la mia tesi di dottorato. Scopro di essere una attenta critica, studio sottolineando ogni passaggio e cerco riferimenti bibliografici. Brava.

Poi una parola mi colpisce: chimica. Tutto è lì nella trasformazione della materia, penso a quando entro in aula e guardo, con incredula osservazione, le formule che il collega ha disegnato sulla lavagna. Codici senza senso per me, codici che racchiudono verità, certezze. Allora ricordo di aver conservato articoli interessanti, notizie e suggerimenti che nella mente speculativa di un soggetto che ama scrivere servono per progettare nuove storie.

Il mio caro editore non lo sa, eppure ho pensato a un nuovo romanzo: un titolo che proviene dall’antico egizio, scarpe dalla suola in bassorilievo, e una cabina telefonica. Lui non lo sa ma si troverà proiettato in una nuova indagine, un nuovo omicidio. Le Palme di questa giornata mi hanno disegnato nella mente una storia, che se prenderà vita mi ricorderà una domenica dal sapore amaro.

(Paola Iannelli)

Strani pensieri, in coda per la spesa

“La tempesta che smaschera le nostre false sicurezze”, così il Papa definiva il nostro vissuto in tempi di virus, da Piazza San Pietro, in quello spazio libero di una piazza vuota, senza la folla che spesso è solo rumore, ci ricordava che si rimane nudi e smascherati di fronte alla pandemia.

Intanto indossiamo la mascherina per proteggerci dal male invisibile che a me personalmente soffoca e proprio non la sopporto, e mentre indossiamo la mascherina, che ci copre il volto quasi per metà e ci fa assumere tutti strane sembianze, poco umane (io per esempio somiglio a un papero a causa della piega laterale ben definita, che le dà una particolare forma a becco), comprendiamo: siamo nudi, siamo finalmente noi stessi.

E purtroppo mi capita di avvertire, quelle poche volte che in questo periodo di pandemia ci si incontra per caso o necessità con un amico o conoscente, mentre si attende in coda per la spesa, una strana sensazione di distacco sempre più forte rispetto al mondo esterno: il Potere ci invita alla solidarietà, mentre ci impone un distacco necessario per salvarci dal contagio, sì, ma non saremo salvi dall’odio di chi, in questo momento di tempesta non riesce a liberarsene, al contrario c’è chi non riesce a mascherare la propria angoscia e ama ancora, e forse questo ci salverà?

Domande che mi ponevo l’altro giorno, senza pensare a Dio o qualunque figura salvifica, mentre ero in coda per la spesa, quando mi trovo di fronte un uomo, in abito talare, in coda come noi altri, che cominciava a inveire contro un nemico, un suo nemico, una persona che lui indicava come il suo nemico, con tanto odio e risentimento; ma forse, cercava approvazione dai presenti, spinto da un profondo stato di inadeguatezza interiore che lo rendeva prigioniero di pensieri malsani e negativi e in modo spietato esprimeva quell’odio, augurando la morte al suo nemico. L’odio è un sentimento possibile dell’uomo, ma la consapevolezza e la libera scelta ci pongono di fronte a continue distinzioni tra pensieri negativi e positivi che si scelgono e diventano propri, eppure quell’uomo in abito talare aveva scelto l’odio, e quella maschera, il suo abito, disturbava con tutto ciò che mi circondava, mentre attendevo per la spesa, in quello che è ormai un rituale quasi quotidiano e necessario, in tempi di quarantena.

E chissà cosa avrebbe detto Papa Bergoglio, di fronte all’individuo in abito talare mentre era in coda a fare la spesa, se fosse stato lì presente: immagine possibile visto che Papa Francesco riesce a essere profondamente Umano, per fortuna.

Immagino che Papa Francesco avrebbe detto: «Chiedo ai presenti, che pazientemente attendono in fila per la spesa, comprensione per quest’individuo che sta cercando di vincere l’impurità attraverso l’odio».

Forse la rinascita, il rinnovamento, difficilmente avverrà con individui che hanno scelto di vincere con l’odio le proprie debolezze, è forse evidente che il rinnovamento arriverà grazie a chi non ha bisogno di abiti o maschere per salvare il mondo, ma solo mettendo a nudo la propria anima nella sua autenticità e Umanità ricomincerà attraverso l’Arte, la Pittura, la Scrittura, l’Architettura e qualunque forma di Creazione che eleva l’animo umano a comunicare nella sua essenza più profonda e nuda, diventando comunicazione spontanea attraversando il bene e il male: così come è, senza altro fine se non quello di ritrovare il senso dell’Umano che unisce e solidifica l’individuo ai suoi simili.

Tutto il resto è solo una bugia mascherata.

(Anita Napolitano)

Domani devo fare entrare l’idraulico in casa. Dopo l’ammanco di acqua di ieri l’altro, dai rubinetti dell’acqua calda esce un filo. Inutile dire che ho provato di tutto da sola e persino in videochiamata con il fidanzato di mia nipote che, benché sia un infermiere, ne capisce qualcosa di idraulica. Alla fine verrà l’idraulico.

Ora in una condizione di normalità la notizia non sarebbe neppure notizia, invece stasera per me è quasi panico. Ho già detto a costui che si aggirerà da solo per la casa perché noi saremo chiusi dentro. Mia madre ha 87 anni io anche per lei sono sepolta viva con mio figlio da un mese e più e non voglio rischiare nulla. Parleremo via cellulare, dopo immagino una sanificazione.

Sono in ansia per un idraulico. Se ci penso mi viene da ridere di gusto.

Ma che fine abbiamo fatto se stasera alle otto e mezza, mentre ritiravo la spesa dal pianerottolo, ho visto dischiudersi la porta a fianco e da uno spiraglio il bambino dei vicini, di al massimo 4 anni, mi ha sorpresa con un buonasera.

Certamente doveva essere sfuggito al controllo di due genitori che passano il tempo a litigare.

Io l’ho visto e sono scappata dentro casa.

Io ho paura di un idraulico e di un bambino di quattro anni.

Ma dove siamo finiti? Che cosa siamo diventati?

Dopo, se un dopo ci sarà, io quando penserò che avevo paura di un idraulico e di un bambino di quattro anni riderò di questa cosa o piangerò pensando a che tipo di trauma assurdo stavo vivendo, la sera del 9 aprile del 2020?

Io riderò per questo o mi commuoverò per me stessa fino alle lacrime.

Chissà… ma quel giorno saremo già Storia.

(Olga Pastore)

Il telefonino sul comodino vibra, poi si illumina.

Una faccina con un bacio e un cuore ammiccano sul display.

Meglio questo che niente: un abbraccio, seppur virtuale, in tempo di coronavirus.

(Fausta del Deo)

Mi è sembrato di vedere un gatto!!

Bei tempi quelli di Titty il Canarino! Peccato che al tempo del Covid-19 qui siamo invasi di notte da zoccole di ogni tipo.

Essendo le strade spazzate e sanificate (vivo a Pozzuoli), le bestie regnanti dell’oscurità passeggiano, sfruttando un grande raggio d’azione. Agiscono indisturbate circondate dal silenzio imperante. Essendo già esperte di intrepide scorribande serali, adesso godono della condivisone con altre specie animali che, senza celare il minimo disturbo, procedono silenziosi nel buio della notte.

Osservazione: siamo noi gli esclusi?

Da sempre il regno animale ha fatto i conti con la nostra invadenza, subendo l’aggressività degli uomini. Finalmente raggiungono la città anche esemplari che vivono di solito in aperta campagna. Peccato che non si vedano marmotte, cervi, mucche, asini. Loro in città non ci vengono più da parecchio tempo.

Ma non disperate amici, ora ci sono le zoccole. Ci dobbiamo accontentare.

(Paola Iannelli)

Vogliamoci bene

Soffrire per la distanza è sempre stata una prerogativa di noi cittadini del sud.

Quante volte ci siamo chiesti, tra i banchi di scuola, studiando la storia del nostro paese, perché la gente partiva e come mai i familiari non li seguivano.

Quante volte ci siamo chiesti, noi che di distanza non ne abbiamo mai sofferto, se sia davvero così difficile.

Quante volte siamo state vittime di invidia da parte di chi gli affetti li aveva lontani.

A oggi la verità è che 5 napoletani su 10 hanno un parente lontano, in Italia o fuori dal paese, da un comune a un altro, da una regione a un’altra.

Il napoletano sa cosa vuol dire “soffrire” per la distanza.

Ma quella distanza, a seguito delle partenze e degli addii disperati in cerca di fortuna, era voluta e desiderata. Ciò che ci ha colpito in questi giorni invece, non è niente di desiderato.

«Stiamo lontani oggi per abbracciarci domani»

È uno dei tanti slogan che si legge e che ci perseguita durante questa quarantena, e mentre lo ascolto dieci volte al giorno e lo leggo anche qualche volta in più, sorrido malinconica pensando al nostro popolo.

È facile per gli inglesi e per i francesi non essere preoccupati, loro non hanno lo stesso carattere espansivo e caloroso che hanno italiani e spagnoli. Per noi un abbraccio non è solo un gesto, un movimento del corpo e delle braccia. Un abbraccio è un segno d’affetto, d’amore, d’amicizia.

Ci abbracciamo nei momenti felici e ci stringiamo ancora di più nei momenti tristi, per questo soffriamo, ora, per questo “divieto” impostoci per la nostra salute.

Per noi un abbraccio è come un sorriso, che regaliamo a tutti anche semplicemente camminando per strada, ai conosciuti ma soprattutto a chi non si conosce. Rivoluzioniamola questa imposizione, restando sempre nelle regole da rispettare perché solo così facendo riusciremo ad uscire di casa!

«Sorridiamo oggi, per abbracciarci domani»

(Sofia Esposito)

Già ieri l’altro una vicina di casa gridava e sbatteva tutto. Ha più di quaranta, ma il suo cervello ne registra otto di anni, vive con una sorella, un bimbo piccolo figlio della sorella e il cognato. Certamente prende farmaci che non coprono l’intera giornata e a ore imprecisate del giorno si ricorda della sua passeggiata giornaliera e grida VOGLIO USCIRE!!! FATEMI USCIRE!!! e vola tutto e si sente rumore di cose rotte e in sottofondo la voce della sorella che dice con tono pacato: non possiamo uscire, ci arrestano.

Lei si calma dieci minuti, poi va alla porta e tenta disperatamente di aprirla ma è chiusa a chiave. DATEMI LE CHIAVI!!! e ricominciano le grida.

Lei giustamente non immagina che nessuno la sta punendo, che non può uscire quando le pare e da sola come è solita fare in talune ore del giorno, quando se ne va per le strade limitrofe a camminare su e giù senza un vero motivo. Lei crede la stiano punendo per qualcosa e grida e piange “aprite quella porta”.

Oggi ho pensato di aprire la mia di porta, avvicinarmi alla sua e dirle “sono chiusa dentro anche io”, anche io sono prigioniera di un virus.

Non piangere, vedrai che presto ritornerai ad uscire.

Perciò quando ci lamentiamo della quarantena pensiamo a chi in casa nella sua quarantena ha situazioni come queste o persone malate immobilizzate nei letti per altro. Il Covid 19 ci sta mostrando un volto della vita che non avevamo avuto occasione di guardare mai. E alla paura del virus si è aggiunta la paura di essere così dannatamente vulnerabili.

Tutti.

(Olga Pastore)

Ora sai che faccio? Cucino, mi dico a telefono chiuso. Voglio fare pizze di tutti i tipi, perché ci piacciono: pizza Margherita, pizza di scarole, pizza di carne, pizza ortolana, con le cipolle, pizza dolce di mele. Ho voglia anche di fare il pane, di sentire il suo profumo delizioso straripare nelle stanze, croccante, caldo, con su un po’ d’olio extravergine e sale, come quando eravamo bambini e i contadini a Sorrento ci infornavano una piccola pagnottella, una per ogni bimbo: era un regalo tiepido che stringevo tra le mani piccoline e spezzavo, per berne prima tutto il profumo, e poi mangiarne il sapore. E voglio fare una brioche come sapeva farla mamma, esperta di cucina francese: ricca pasta con burro e uova in una forma alta di alluminio con il buco al centro, e in quel buco versare besciamella calda al parmigiano e piselli al prosciutto: buonissima!

Come è bello questo vuoto e caspita come è pieno. Leggo di più, penso di più, scrivo di più. Parlo di più con i miei amici, lontani dal corpo ma vicini al cuore.

(Laura Siciliano)

Stamattina sono andata al supermercato a fare la spesa: le persone in fila nel parcheggio sembravano fantasmi, lontane, protette da mascherine e guanti, occhi spalancati, sguardi preoccupati. Ma nessuno mi è sembrato veramente estraneo. Una volta entrati, due alla volta, si è accorciata la distanza, si abbozzavano sorrisi, qualche parola, un accenno di comprensione. Ho provato tanta gratitudine per chi lavorava nonostante tutto. Nessuno protestava per l’attesa, ci siamo fatti compagnia, quasi contenti di vederci. Tutto si è ridotto all’essenziale.

Alla pompa di benzina i ragazzi sdrammatizzavano scherzando tra di loro. Quattro ambulanze erano passate la mattina dirette in un parco più avanti, dicevano, sono venuti a prendere tutta la famiglia. È difficile non avere paura ma è possibile esorcizzarla. Avevano guanti, mascherine e occhi vigili, hanno lavorato con tutta l’allegria che riuscivano a trovare. Sono tornata a casa sorridendo. Le ambulanze, comunque, arrivano, negli ospedali c’è chi lavora per noi. Non siamo soli, mi sento meno sola adesso di prima. Ora lo so.

(Stella Amato)

Essere un docente comporta degli obblighi ben precisi diretti alla formazione del prossimo e di sé stessi. Certo non bisogna dimenticare di essere al passo coi tempi e essere forniti degli strumenti tecnologici più avanzati. E poi bisogna essere sempre presentabili, truccate, e dimostrare che il senso di dignità professionale passa anche per l’aspetto estetico, i capi devono essere alla moda dei colori in voga nella stagione dell’anno e soprattutto non bisogna dimostrare nemmeno un filo bianco tra i capelli, a meno che non si opti per una versione nature

Ci vuole spirito di sacrificio si sa, aver scelto questo mestiere di questi tempi ha del missionario, pochi soldi, poca stima e considerazione collettiva, in poche parole poco rispetto. Ma oggi siamo nel pieno di un’epidemia globale, la quale non riguarda le nostre meravigliose piattaforme digitali, ma un nemico invisibile nato dallo sconsiderato comportamento dell’uomo.

Nella settimana antecedente alla chiusura definitiva delle scuole di ogni ordine e grado, era stato istituito un gruppo WhatsApp del liceo dove lavoro come docente. Grazie a una serie di filtri le informazioni venivano postate con esclusivo potere da parte del dirigente e dei suoi stretti collaboratori, senza possibilità di repliche. Considerando la scarsa empatia, nella serata di domenica 15 marzo viene postato l’ennesimo messaggio. Il contenuto era disarmante da un punto di vista didattico e morale: si obbligava il corpo docente a tenere lezioni on line in diretta seguendo l’orario di lavoro, con pochissime interruzioni e senza possibilità di tutela della privacy, con intromissione del dirigente durante le perfomance didattiche.

Ecco che il corpo docente risponde, unito compatto, solido nel difendere la libertà d’insegnamento, difendendo la propria privacy e sostenendo la teoria che in un momento come quello che stiamo vivendo, anche i docenti hanno una vita privata. Ansie, preoccupazioni, responsabilità condivise, o meno, nel proprio focolare domestico.

Riflessione: grazie al Covid-19 siamo rivalutati, siamo tornati a essere un organismo vivente, un’ancora solida in un mare di incertezze.

Conclusione: tutti i docenti hanno abbandonato il gruppo globale, non ci stiamo. Viva la libertà e la democrazia.

(Paola Iannelli)

A volte mi chiedo se avrò mai così tanto tempo da poter dedicare a tutte quelle cose e dovrei e vorrei fare ma non faccio. E me lo richiedo, sentendomi responsabile. E me lo richiedo ancora e ancora.

Così passo il tempo, e non faccio, neppure una di tutte quelle cose e dovrei e vorrei fare ma non faccio.

(Aldo Putignano)

Marano, 15 marzo 2020

quinto giorno di pandemia, decimo giorno di quarantena

Oggi è domenica. La luce del giorno che filtrava dalla serranda non abbassata del tutto mi ha svegliato presto. C’è silenzio, un silenzio che distende. Io vivo immersa nel costante rumore dei macchinari dell’ufficio, del telefono che squilla incessantemente, del chiacchiericcio delle persone, della mia voce.

Ci si abitua, purtroppo, fino al momento in cui manca la corrente. Tutto tace d’improvviso, anche il telefono, le voci delle persone, le nostre, per qualche secondo. E nel silenzio mi distendo rilassata, respiro e sorrido. Sì, sorrido perché mi sento meglio, il sottile nervosismo di sottofondo scompare, tutto quel rumore che assedia e consuma non c’è più.

La ricerca del silenzio mi aveva spinto a cambiare casa tre anni fa. Cercavo la pace, e qui, in periferia, al confine tra Napoli e Marano, in mezzo a villette datate e un poco di campagna sopravvissuta, l’ho trovata. “Città giardino”, nome pretestuoso che ricopre i misfatti edilizi della camorra anni ’80. Via del mare, perché dall’alto della collina, prima di intraprendere la discesa verso Marano, si vede il mare in lontananza, ed è proprio un’apparizione.

Venendo da Napoli e superando la “Decina”, antico casale abbandonato appartenuto in passato al pittore Camillo Guerra, a cui hanno dedicato la via, ho sempre avuto la sensazione che il tempo rallentasse. Le persone che vivono in questi posti si muovono meno freneticamente, hanno i loro tempi, le loro personali liturgie. La casa in cui vivo adesso mi aveva attirato proprio per la calma che emanava, il senso di pace che il silenzio che la circonda infondeva. E ora che ci vivo, ora che resto chiusa in casa per precauzione sanitaria, non posso che confermare quelle sensazioni.

Questa casa mi abbraccia, mi fa sentire nel nido, protetta, sicura. Il giardino mi regala luce, aria, le gemme sugli alberi, l’erba che cresce, i merli, le gazze i pettirossi, i passerotti che vengono a becchettare in giro. Per ringraziarla la pulisco con cura, riordino armadi, cassetti, librerie e scrivanie. E da tutto questo lavoro calmo e costante spuntano fuori vecchie fotografie dimenticate, lettere di quarant’anni e più fa (devo ammetterlo, sono proprio invecchiata senza accorgermene), cartoline di viaggi dimenticati, desideri e passioni accantonate. Questo momento di stasi forzata mi fa ricomporre il puzzle della mia vita, ogni tesserina si incastra alla perfezione con le altre. Mi riscopro solitaria, amante del pensiero, dello studio, della lettura e della scrittura. Tutto quello che mi ha sempre fatto sentire diversa ora ha un senso.

Ho trovato molti diversi uguali a me nel corso degli anni, e questo non mi fa sentire sola anche quando lo sono. Mi sento parte di una comunità, una testimone del nostro tempo che lascerà qualcosa ai posteri. Magari insignificante, ma sarà una traccia, la mia personale impronta nel mondo.

(Stella Amato)

Homo Scrivens

È la prima compagnia italiana di scrittura, dal 2012 anche casa editrice.

Sul sito www.homoscrivens.it è pubblicato un ampio reportage, in continuo aggiornamento, sulla vita ai tempi del virus, da cui sono tratte alcune di queste istantanee. Ogni aggiornamento è segnalato da Homo Scrivens nelle sue pagine social.