lunedì, Aprile 29, 2024
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Il massacro di Kindu

Correva l’anno 1961, tra l’11 ed il 12 novembre, quando 13 aviatori italiani, nell’ambito del contingente ONU mandato in aiuto alle popolazioni locali del Congo, durante una forte crisi politica che devastò la grande ex colonia belga, vi trovarono la morte, scambiati per mercenari belgi al soldo del Katanga.

I militari italiani uccisi facevano parte degli equipaggi dei due C-119 Lyra 5 e Lupo 33, bimotori da trasporto della 46ª Brigata aerea di Pisa intervenuti l’11 novembre a supporto di un contingente malese dell’ONU in difficoltà in una zona remota del paese africano, Kindu.

Gli aerei italiani scambiati per velivoli katanghesi carichi di paracadutisti, scatenarono la reazione incontrollata dei locali soldati di stanza a Kindu: diverse centinaia di congolesi fecero irruzione nell’edificio, dove italiani e malesi, quasi tutti disarmati, si erano barricati; essi furono brutalmente malmenati, in particolare, gli italiani visti come mercenari belgi. Il tenente medico Francesco Paolo Remotti tentò di fuggire lanciandosi da una finestra, ma fu rapidamente raggiunto dai congolesi e subito ucciso.

Intorno alle 16:30 arrivarono altri 300 miliziani congolesi guidati dal comandante del presidio di Kindu, un certo colonnello Pakassa: il comandante malese, maggiore Maud, tentò inutilmente di convincerlo che gli aviatori erano italiani dell’ONU e alle 16:50 i dodici italiani, costretti a trasportare con loro il corpo di Remotti, furono caricati a forza sui camion e portati in città, per poi essere rinchiusi nella piccola prigione locale. Nella notte i soldati congolesi fecero irruzione nella cella dove erano detenuti i dodici aviatori italiani e li uccisero tutti a colpi di mitra; abbandonati i corpi sul posto, questi furono spostati poche ore dopo dal custode del carcere che, temendone lo scempio, li trasportò con un camion nella foresta fuori città e li seppellì in una fossa comune.

Il massacro di Kindu

Solo alcune settimane dopo l’eccidio il custode del carcere si mise in contatto con i fratelli Arcidiacono, due italiani residenti da tempo a Kindu: questi riuscirono a ricostruire le circostanze dell’eccidio e a contattare le autorità ONU per predisporre il recupero delle salme Mesi dopo, nel febbraio del 1962 un convoglio della Croce Rossa austriaca, scortato da un contingente di caschi blu etiopi e accompagnato da due ufficiali italiani, rinvenne la fossa comune dove erano stati seppelliti gli italiani nel cimitero di Tokolote, un piccolo villaggio sulle rive del Lualaba ai margini della foresta: i corpi, protetti da una grossa crosta di argilla, erano ancora in buono stato di conservazione e furono facilmente identificati Trasportati all’aeroporto di Kindu, furono imbarcati su un C-119 italiano e inviati a Leopoldville, da dove rientrarono in Italia a bordo di un C-130 statunitense.

I loro nominativi erano:

Equipaggio del C-119 MM52-6002 (nominativo radio Lyra 5)

  • Maggiore pilota Amedeo Parmeggiani, 43 anni, di Bologna, comandante della missione
  • Sottotenente pilota Onorio De Luca, 25 anni, di Treppo Grande(UD)
  • Tenente medico Francesco Paolo Remotti, 29 anni, di Roma
  • Maresciallo motorista Nazzareno Quadrumani, 42 anni, di Montefalco(PG)
  • Sergente maggiore montatore Silvestro Possenti, 40 anni, di Fabriano(AN)
  • Sergente elettromeccanico di bordo Martano Marcacci, 27 anni, di Collesalvetti(LI)
  • Sergente marconista Francesco Paga, 31 anni, di Pietrelcina(BN)

Equipaggio del C-119 MM51-6049 (nominativo radio Lupo 33)

Le salme riposano  presso l’aeroporto di Pisa nel sacrario a loro dedicato.

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