
Ipotesi guerra nucleare: sono questi i 5 Paesi meno esposti e più sicuri - Roadtvitalia.it
In caso di conflitto nucleare dove si dovrebbe scappare? Secondo recenti studi, sono questi i 5 Paesi più sicuri.
In un contesto globale sempre più incerto, la minaccia di un conflitto nucleare torna a essere un tema di preoccupazione reale e attuale.
Nonostante nessuna zona del continente europeo possa dirsi completamente al sicuro da un’escalation atomica, recenti simulazioni e studi indicano che alcuni territori potrebbero limitare i danni grazie alla loro posizione geografica e a caratteristiche specifiche.
I paesi con maggiori probabilità di sicurezza in caso di conflitto nucleare
Secondo diversi modelli di analisi, la posizione geografica gioca un ruolo cruciale nel determinare l’esposizione al fallout radioattivo e ai danni diretti di un ipotetico attacco nucleare in Europa. Le aree più isolate, lontane dai principali obiettivi militari e non influenzate dai venti predominanti, sono quelle con maggiori possibilità di resistere. Tra queste, spiccano:
- Irlanda, grazie al suo isolamento insulare e alla storica neutralità politica, che la rende meno probabile come obiettivo strategico;
- Portogallo e Spagna, situate all’estremo occidentale del continente, dove il rischio di contaminazione radioattiva è mitigato dalla distanza dalle aree di conflitto più probabili;
- Svezia e Norvegia, caratterizzate da una bassa densità abitativa e da una posizione settentrionale che limita l’impatto diretto degli attacchi e riduce la contaminazione.
Tuttavia, è fondamentale considerare che queste valutazioni sono fortemente influenzate dalle condizioni atmosferiche. In presenza di venti orientali o cambiamenti climatici improvvisi, anche queste regioni potrebbero subire ricadute radioattive significative. Se si guarda oltre l’Europa, diversi paesi insulari emergono come potenziali rifugi a lungo termine in caso di guerra nucleare globale. Uno studio pubblicato su Risk Analysis ha esaminato 38 isole in base a criteri come: produzione alimentare autonoma, autosufficienza energetica, stabilità climatica e capacità industriale. I risultati indicano che territori come:
- Australia,
- Nuova Zelanda,
- Islanda,
- Isole Salomone,
- Vanuatu,
sono tra i più preparati a sostenere la propria popolazione anche in condizioni di grave crisi globale, come un inverno nucleare che riducesse drasticamente la luce solare. La loro posizione geografica isolata li protegge da attacchi diretti e li rende meno vulnerabili al caos geopolitico. L’Italia non figura tra i paesi sicuri in nessuna delle analisi più recenti, e ciò per motivi ben precisi che vanno oltre la semplice posizione geografica. Il territorio nazionale ospita diverse basi militari NATO, molte delle quali sono considerate obiettivi strategici in caso di conflitto. Tra queste:
- le basi di Aviano e Ghedi, dove sono stoccate testate nucleari;
- le basi navali di Napoli, Taranto e Sigonella;
- le sedi operative a Vicenza, Livorno e Gaeta.

Le stime relative a un eventuale attacco a queste installazioni sono drammatiche: un colpo su Ghedi potrebbe causare circa 450 morti e oltre 3.000 feriti, mentre un attacco a Napoli potrebbe provocare fino a 21.000 vittime solo nell’impatto iniziale. Un ulteriore problema è rappresentato dalla mancanza di rifugi adeguati sul territorio italiano. A differenza di paesi come la Svizzera, dove la costruzione di bunker è regolamentata per legge e diffusa, in Italia esistono pochissime strutture protettive moderne, molte delle quali risalgono alla Seconda Guerra Mondiale.
Scappare dall’Italia in caso di emergenza non sarebbe semplice: i paesi considerati più sicuri sono geograficamente distanti e spesso raggiungibili soltanto via aereo, con tutte le difficoltà logistiche che ciò comporta in una situazione di crisi. Il governo italiano ha intrapreso alcune azioni, come lo stoccaggio di ioduro di potassio, una sostanza in grado di proteggere la tiroide dalle radiazioni. Tuttavia, senza un piano nazionale di emergenza chiaro e senza adeguate strutture di rifugio, queste misure risultano insufficienti a garantire una protezione efficace.
I rischi di un conflitto nucleare non si limitano infatti all’onda d’urto o alle radiazioni immediate, ma si estendono anche a problemi di natura: sanitaria, con la contaminazione di acqua e cibo, infrastrutturale, con il collasso dei servizi essenziali e sociale, con il rischio di disgregazione della coesione comunitaria. In questo quadro, le isole oceaniche autosufficienti rappresentano oggi l’unica concreta possibilità di sopravvivenza e ripresa a lungo termine in uno scenario post-nucleare, grazie alla loro capacità di garantire risorse vitali indipendenti e una relativa sicurezza dagli attacchi diretti.