Chiesa di Sant’Antonio Abate, un tesoro dimenticato. L’appello del parroco: “Salviamola con le messe dell’arte” (VIDEO)

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di Antonella Scirocco e Giuliana Gugliotti

Sulla centrale e trafficata via Foria, inattesa e quasi inosservata agli occhi dei passanti, sorge la chiesa dedicata al culto di Sant’ Antonio Abate voluta dalla regina Giovanna I D’Angiò. Ad attenderci sul sagrato, in un tiepido mattino autunnale, troviamo Don Alessio, parroco del quartiere e Giovanni Parisi, consigliere della IV Municipalità.

Insieme e con ammirevole spirito di iniziativa, cercano di ridare nuovo splendore a questo gioiello, grazie ad una singolare iniziativa che sta riscuotendo grande successo: le messe dell’arte. Ogni ultima domenica del mese, il ricavato delle offerte dei fedeli viene infatti interamente destinato al restauro di una delle opere della parrocchia. Grazie a quest’intuizione, è stato possibile iniziare il primo restauro, che sta riportando alla luce un affresco raffigurante il Cristo in croce, di scuola giottesca.

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Un modo per dare nuova vita a un tesoro dell’arte gotica, che di gotico in realtà, dopo i continui rimaneggiamenti, conserva ben poco. Il maestoso portale ligneo, uno dei pochissimi elementi risalenti all’origine, ci introduce alla navata. Lo sguardo d’insieme regala uno scenario dal sapore antichissimo: qui, opere preziosissime e oggettistica di gran pregio soddisfano la fame d’arte degli appassionati.

Alzando gli occhi al cielo uno scenografico soffitto a cassettoni  cattura l’attenzione, ma lo sguardo rimane fisso a interrogarsi, amareggiato, sulla evidente lacuna centrale: esso, infatti, risulta mùtilo del pregevole capolavoro di Domenico Viola raffigurante la glorificazione di Sant’Antonio. Percorrendo la navata si possono ammirare, tra gli altri, un dipinto raffigurante San Gennaro, attribuito alla mano di Luca Giordano e proprio di fronte a questo, una tela raffigurante San Nicola attribuita a Domenico Viola (allievo di Giordano).

Ad una osservazione più attenta, però, si capisce come negli anni la chiesa abbia subito numerosi interventi, non sempre coerentemente inseriti nella struttura originaria. Perlopiù una settecentesca veste ricopre quasi interamente l’originaria ossatura gotica, e non manca qua e là qualche scellerato intervento di novecentesca fattura.

La storia e i fatti immergono questa bellissima chiesa in un’aura di mistero. Proprio uno di questi è insito nell’affresco ora in restauro, rinvenuto in una cappella laterale: ai piedi della croce, nella parte sinistra si vede Sant’Antonio in preghiera e a destra, la mano sapiente del restauratore sta svelando una ulteriore immagine con le mani giunte.  Di chi si tratterà?

Nelle lunette laterali compaiono, controluce, dei simboli attribuiti all’ordine costantiniano. Una  ulteriore fonte di mistero è costituita dall’ingresso ai sotterranei. Sul lato sinistro dell’altare, difatti, troviamo una porta alla cui sommità un putto stringe tra le mani un teschio, a simboleggiare l’ingresso alle cripte; superata la porta si intravedono alcune scale, che digradando vanno scomparendo nell’oscurità; proprio qui, davanti a questi gradini, la storia a noi conosciuta si ferma.

Dunque,  c’è ancora tanto altro da ammirare e da scoprire, se solo si potesse andare avanti con i lavori di restauro.  Don Alessio ha preso a cuore questa causa e continuerà a promuovere le cosiddette “messe dell’arte”, per far rivivere la chiesa che detiene, tra l’altro, un triste primato: quello del maggior numero di furti di opere documentato; una piaga, del resto, che interessa molte chiese partenopee lasciate nel degrado e nell’abbandono.

La strada da percorrere è ancora lunga e le spese di cui farsi carico notevoli, ma ci auguriamo che quel dinamico slancio verticale, proprio delle opere di stile gotico, possa essere trasferito, metaforicamente, nell’operato costante di Don Alessio e Giovanni Parisi, che in questa impresa credono e per la quale stanno impiegando molte delle loro energie.

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