In questi giorni a Torino non passa inosservata una serie di cartelloni decisamente fuori dal comune: a colpire i passanti è la scritta “Mio marito”, accompagnata da immagini di uomini ritratti in pose intime, ironiche ed anche un po’ imbarazzanti. Non si tratta di pubblicità né di una trovata di marketing: è arte di strada, ed è soprattutto provocazione con un messaggio forte e chiaro: ribaltare un’abitudine ormai radicata, quella di mostrare e oggettivizzare i corpi femminili, e spostarla sul corpo maschile. Ironia sì, ma che porta con sé una riflessione seria: il consenso non è un dettaglio, è un principio universale che vale per tutti, uomini e donne. Il cartellone costringe chi lo guarda a confrontarsi con una contraddizione: l’immagine di una donna esposta senza consenso ormai non scandalizza quasi più nessuno, mentre quella di un uomo nudo e vulnerabile fa subito discutere, ed è proprio qui che la satira colpisce con più forza. Dietro quest’opera c’è Andrea Villa, street artist torinese spesso paragonato a Banksy. Conosciuto per le sue opere che mescolano arte, satira e critica sociale, Villa lavora con manifesti che imitano falsi annunci pubblicitari, affissi in città per sorprendere e far riflettere. Con “Mio marito” ha voluto rispondere al discusso (e poi chiuso) gruppo social “Mia moglie”, mostrando quanto sottile possa essere il confine tra normalità e scandalo.
In questa intervista Andrea Villa “mette a nudo” il progetto Mio Marito parlando anche della sua visione e dei suoi programmi per il futuro:
Ciao Andrea, iniziamo subito con una domanda secca: com’è nata l’idea dei cartelloni “Mio marito”?
L’opera fa parte della mia campagna contro il revenge porn, insieme a progetti come #teachersdosex e #nodicks, contro la condivisione non consensuale di foto intime e l’invio di immagini di peni non richiesti da parte degli uomini. L’ ho strutturata come una trilogia, e quando ho letto questa notizia ho trovato subito interessante ragionare sulle dinamiche che portano gli uomini a voler “appropriarsi” dell’ immagine delle donne senza il loro consenso.
Hai scelto di esporre uomini in mutande: perché proprio questa scelta “intima”? Una sorta di castigo?
Il mio tentativo era quello di ribaltare la visione maschilista del corpo femminile: cosa succede quando è la nudità maschile a diventare soggetto di voyeurismo? Gli uomini come percepiscono questo cambiamento? La mia è una domanda aperta che ho posto a chi guardava i manifesti, non ho voluto in questo caso dare troppo il mio giudizio.
La scelta di esporre pubblicamente i volti dei partecipanti è stata la tua risposta alla società patriarcale: hai avuto paura delle possibili conseguenze legali?
I volti e gli sfondi sono modificati, quindi non dovrei averne. A volte l’ arte deve superare gli scogli del rischio e provare ad osare per cercare di comunicare un bene più grande, rompere le regole per delle giuste cause di sensibilizzazione.
Mentre “Mia moglie” operava in un gruppo online, tu hai portato la questione alla luce del sole, in pubblico: credi che la “punizione” pubblica sia più efficace di quella digitale?
Più che una punizione io la vedo come un modo per spostare la prospettiva: ho provato ad immaginare una società dove sono gli uomini che diventano vulnerabili e oggettificati, dove si sentono osservati e vittime della società dell’ immagine. Prova è il fatto che ho ricevuto decine di insulti sui social da profili falsi creati poche ore dopo la pubblicazione dei miei manifesti sulla stampa. Ho rotto un “codice etico” non scritto che è quello di come deve essere percepita la sessualità femminile rispetto a quella maschile, e ciò ha dato fastidio a molti.
L’opera ha avuto un forte impatto mediatico, ma alcuni potrebbero sostenere che, una volta rimossi i manifesti, il problema non sarà stato risolto: credi che l’arte possa servire per risolvere i problemi o può semplicemente di accendere i riflettori su di essi?
I miei lavori ribaltano i concetti precostituiti di genere e di oggettificazione sessuale creando dei cortocircuiti visivi e semantici, ponendo questioni allo spettatore tramite la ricondivisione dei miei lavori sui media mainstream. Il compito dell’ arte è porre delle domande, non risolvere problemi, a quello ci pensa la politica e la società civile. Ma aumentare la consapevolezza su certi temi è quello che l‘ artista deve porsi come obbiettivo. In futuro, se qualche uomo vorrà rifare revenge porn su una persona, almeno potrà avere il timore che da qualche parte, qualche creativo potrebbe criticare il suo operato con un’operazione artistica, esponendo il suo gesto meschino sulla pubblica piazza.
Ti chiamano il “Banksy torinese”: ti diverte l’etichetta o ti pesa?
Preferisco farmi chiamare Andrea Villa, ammiro Banksy ma ho metodi ed estetiche diverse da lui.
Prossima provocazione: hai già qualche idea?
Forse farò un lavoro su Giorgio Armani, devo ancora studiarlo.
Provocazione riuscita? Sta al passante decidere. Quel che è certo è che i cartelloni “Mio marito” non lasciano indifferenti: si ride, ci si indigna, si discute. Ed è proprio questo l’obiettivo più alto dell’arte: non decorare, ma far riflettere.
This post was published on Set 12, 2025 9:00
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