Il giorno tanto atteso è arrivato. Oggi il clima è teso, al Tribunale di Napoli, in attesa della sentenza di primo grado del processo che vede imputati i boss dei Casalesi Antonio Iovine e Francesco Bidognetti, accusati, insieme ai loro avvocati, di aver minacciato lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista, ora senatrice Pd, Rosaria Capacchione, durante il processo Spartacus, nel 2008.
Minacce a Roberto Saviano: oggi la sentenza contro i boss dei Casalesi
Un processo durato due anni, che ha visto chiamati sul banco dei testimoni esponenti illustri della lotta alla camorra casalese: i magistrati Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone. Insieme ai due boss sono imputati anche i loro avvocati, Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello. L’accusa è di minacce e diffamazione aggravate da finalità mafiosa. Per Antonio Iovine, recentemente pentitosi e diventato collaboratore di giustizia, è stata chiesta l’assoluzione per insufficienza di prove.
La sentenza ci sarà nel primo pomeriggio. Durante le arringhe finali di questa mattina l’aula 116 era gremita. A rappresentare la pubblica accusa il pm antimafia Cesare Sirignano, che ha sostituito il procuratore della Dda Antonello Ardituro, che fu il primo a chiedere la condanna a un anno e sei mesi, il massimo della pena. Un processo storico, perché per la prima volta dei boss di camorra vengono accusati di minacce e diffamazione ai danni di uno scrittore. Bidognetti e Iovine hanno assistito alle arringhe dalle rispettive carceri. Roberto Saviano è arrivato poco prima dell’inizio dell’udienza, e ha atteso di entrare in aula in una stanza attigua, “una ‘stanzulella’ dove ormai mi sento a casa” ha commentato lo scrittore sulla sua pagina Facebook. Poco prima Saviano aveva girato un video mentre era in auto con la sua scorta, diretto verso il tribunale.
Guarda il video girato da Saviano in auto con la scorta
Non sono mancate le polemiche: “Pretendiamo che valgano anche in questo caso le regole di ogni altro processo” attacca l’avvocato Rizziero Angeletti, legale di Santonastaso, che spiega come l’istanza di remissione presentata dagli avvocati dei boss, seguita alla lettera di Bidognetti e Iovine, che chiedevano lo spostamento del processo Spartacus per legittima suspicione, fosse “un’azione processuale e non un atto di violenza o prevaricazione, tantomeno di violenza verbale o minacce”.
I capi d’accusa: la lettera di Bidognetti e Iovine
L’accusa di minacce e diffamazione aggravate da finalità mafiosa è scattata in seguito alla lettura in aula, durante il processo Spartacus, svoltosi a Napoli nel 2008, di una lettera scritta dai boss Bidognetti e Iovine, che chiedevano ai magistrati lo spostamento del processo per legittima suspicione che li vedeva imputati, sostenendo che, se il processo si fosse svolto a Napoli, i giudici sarebbero stati influenzati dall’attività giornalistica di Roberto Saviano e Rosaria Capacchione. Alla lettura di questa lettera seguì, da parte degli avvocati dei boss, Santonastaso e D’Aniello, proprio una istanza di remissione del processo a un altro tribunale, ovvero una richiesta di spostare il processo. Fu proprio quest’azione congiunta degli imputati e dei loro avvocati a essere interpretata come una minaccia, aggravata da finalità mafiosa, ai danni di Roberto Saviano e Rosaria Capacchione.