Lo smog ‘alleato’ del Covid, non lo trasporta ma ‘disarma’ l’organismo

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Il virus si muove con le persone, non con lo smog: il particolato presente nell’aria inquinata non trasporta particelle virali capaci di diffondere il contagio, di cui invece sono direttamente responsabili la frequenza e la vicinanza dei contatti. Lo smog potrebbe avere un ruolo nel decorso della malattia in chi sia stato contagiato: chi è stato esposto all’inquinamento è più fragile di fronte al virus e ha perciò un rischio maggiore di andare incontro a conseguenze più serie in caso di Covid-19. 

 

Lo smog non ‘trasporta’ SARS-Cov-2 ma chi è stato a lungo esposto all’aria inquinata, se contagiato, potrebbe andare incontro a una malattia più seria. Lo sostengono i massimi esperti internazionali che si sono confrontati durante il Webinar Internazionale“Air pollution and Covid-19: mechanisms, preliminary findings and ways ahead”, organizzato dalla Fondazione Internazionale Menarini nell’ambito del progetto RespiraMi: secondo i dati degli studi disponibili a oggi, le particelle inquinanti non possono agire come ‘trasportatori’ di particelle infettive del virus e l’inquinamento atmosferico è quindi difficilmente responsabile di un’impennata nei contagi, ma l’esposizione allo smog può avere effetti negativi sulla salute generale, rendendo più fragili di fronte al virus e aumentando la prevalenza di patologie cardiovascolari, metaboliche e respiratorie nella popolazione, accrescendo così la quota di soggetti con un rischio più elevato di conseguenze peggiori in caso di contagio da Covid-19. Le ricerche internazionali non sono in grado di dimostrare un rapporto causa-effetto tra lo smog e i contagi. E’ sempre più evidente, invece, come lo smog sia un ‘terzo incomodo’ tra il virus e il corpo: quando l’organismo è più compromesso, i danni sono maggiori.

“SARS-Cov-2 viene trasmesso soprattutto tramite le goccioline respiratorie, o droplets, di una persona infetta che tossisca, starnutisca o parli a distanza ravvicinata; il contagio da superfici infette è più raro, mentre alcune indicazioni suggeriscono che il virus possa rimanere infettivo nell’aerosol di un ambiente chiuso – osserva Sergio Harari, co-presidente del Seminario e Direttore Unità Operativa Pneumologia, Ospedale San Giuseppe di Milano – Invece, l’ipotesi che il particolato atmosferico possa ‘trasportare’ il virus e quindi contribuire a diffonderlo per via aerea non sembra plausibile: il particolato può veicolare particelle biologiche come batteri, spore, pollini e anche virus, ma appare improbabile che i Coronavirus possano mantenere intatte caratteristiche morfologiche e proprietà infettive dopo una permanenza più o meno prolungata all’esterno perché temperatura, essiccamento e raggi UV danneggiano l’involucro del virus e quindi la sua capacità di infettare. Perciò un legame fra le fluttuazioni giornaliere del particolato e l’incidenza dei contagi da Coronavirus non è a oggi confermata né plausibile”.

         L’ipotesi che l’inquinamento potesse essere direttamente responsabile di un incremento della probabilità di contagio deriva dalla diffusione di Covid-19 in Pianura Padana, una delle aree più inquinate d’Europa; tuttavia gli studi scientifici sembrano indicare con certezza che l’epidemia si muove con le persone, non  attraverso lo smog. “Per un’epidemia con contagio per via respiratoria il maggior determinante della diffusione sono la frequenza e la vicinanza dei contatti tra le persone – interviene Pier Mannuccio Mannucci, co-presidente del Seminario e Professore Emerito di Medicina, Interna Università degli Studi di Milano – La Pianura Padana è una delle aree più industrializzate del Paese, con un numero elevato di contatti internazionali, e questo assieme all’elevata densità abitativa può essere considerato il maggior determinante dell’impennata dei contagi nei mesi scorsi. Anche il calo drastico delle infezioni a seguito del lockdown e del distanziamento sociale suggerisce che nella trasmissione del virus il particolato non sia decisivo, perché resta nell’aria per settimane e può distribuirsi per chilometri in orizzontale. È invece noto che l’inquinamento ambientale aumenta la probabilità di malattie cardiovascolari, metaboliche e polmonari: nelle aree più inquinate, quindi, è maggiore la quota di popolazione ad alto rischio di sviluppare le complicanze da Covid-19.

         Il particolato inquinante, inoltre, comporta un incremento della risposta infiammatoria a livello polmonare e questo, in presenza di SARS-Cov-2, potrebbe favorire la comparsa di sintomi più gravi. “Per analogia con quanto si osserva per altre malattie, è possibile che con livelli di inquinamento ambientale maggiori chi è stato infettato da SARS-Cov-2 sia più suscettibile a una progressione clinicamente rilevante di Covid-19 – aggiunge Francesco Forastiere, epidemiologo, co-presidente del Seminario, e direttore della rivista Epidemiologia e Prevenzione. Tuttavia, a oggi non abbiamo dati sufficienti per essere certi dell’impatto dell’inquinamento atmosferico sul decorso a breve e a lungo termine dell’infezione da SARS-Cov-2: per arrivare a dati conclusivi saranno necessari studi epidemiologici rigorosi, con un’adeguata raccolta dei dati clinici ed ambientali su base individuale il più possibile omogenea su tutto il territorio nazionale così da studiare le possibili associazioni tra inquinamento e diffusione e gravità di Covid-19”.