L’era della tecnica

0
307
di Vincenzo Vacca.

Viviamo nell’età della tecnica che si regge su un fondamentale principio: ottenere il massimo risultato con il minor dispendio di fatica. Il concetto di tecnica non va confuso con quello di tecnologia, in quanto è indiscutibile che la tecnologia ha un suo aspetto di utilità, ma la tecnica, la caratteristica preminente del periodo storico che stiamo vivendo, sta permeando in profondità il nostro stile di vita al punto tale che il vecchio dilemma per il quale si ritiene che la tecnica sia neutra e, pertanto, tutto dipenderebbe dal modo in cui noi uomini ce ne serviamo non ha più alcuna pregnanza.

Questo si poteva ancora sostenere quando l’ uomo dominava la tecnica e questa era asservita alla volontà degli esseri umani.

In realtà, lo sviluppo della tecnica è tale che possiamo senz’ altro sostenere che è avvenuto un rovesciamento in ordine al rapporto di potenza tra uomo e tecnica. Una tecnica che si è resa autoreferenziale e che procede per raggiungimento di obiettivi che stanno spesso diventando non chiari.
Quando un fenomeno sociale diventa maggioritario, inevitabilmente l’ intero scenario nel quale si vive si uniforma, appunto, alla tendenza maggioritaria.
Nel caso specifico, torna perfettamente attuale la dicotomia tra l’ uomo umanista e quello capace solo di fare di conto. Infatti, l’ era della tecnica ci induce a ragionare esclusivamente  per obiettivi da raggiungere, riducendo significativamente il pensiero umanista capace di osservare speculativamente la condizione umana.
I grandi del pensiero, filosofi, poeti scrittori, etc. sono figli di una narrazione profonda dell’ esistenza umana e hanno contribuito enormemente alla conoscenza della realtà che, per definizione, è stratificata, multiforme, metarazionale. Una caratteristica del poeta, ad esempio, è quella di ribaltare radicalmente in principio di non contraddizione delle parole e questo permette di assaporare, illuminandoli, ogni aspetto della realtà o quella che noi crediamo essere tale.
Mi piace molto l’immagine di un poeta e di un falegname che entrambi passeggiano in un bosco. In loro matureranno pensieri diversi osservando quel tipo di paesaggio. Il primo ne farà oggetto di riflessione di varia natura sulla condizione umana, mentre  il secondo penserà a quante cose si potranno produrre con tutto quel potenziale legname.
Questo per sottolineare l’ importanza della costruzione di una certa “anima” che ci orienterà tutta la vita relativamente alle scelte che faremo.
Con il domino della tecnica, rischiamo tutti di diventare funzionari di apparati che ragionano solo in termini di puntuale ed efficiente assolvimento del compito che ci è stato assegnato, perdendo progressivamente la capacità, ma soprattutto la voglia, di alzare lo sguardo e di provare a capire, magari anche di criticarlo, il contesto nel quale siamo inseriti.
Tutti noi ci siamo sentiti dire almeno una volta nel rivolgerci a un ufficio pubblico o privato la frase “non è di mia competenza” circa una nostra specifica istanza, in quanto a un impiegato dall’ ordine tecnico imperante è richiesto di raggiungere un determinato obiettivo e tanto meglio lo si raggiunge quanto meno pensa ad altro da quello per cui lavora.
Non dimentichiamo che una delle fondamentali caratteristiche del nazismo è stata la estrema parcellizzazione del sistema totalitario citato.
Molti carnefici giustificarono il proprio terribile compito sostenendo che eseguivano ordini, ma soprattutto che a loro non era richiesto di pensare agli scopi ultimi del sistema sanguinario per il quale lavoravano. Essi dovevano solo eseguire un lavoro e nel migliore dei modi possibili.
Non è un caso che alcuni intellettuali sostengano che il nazismo è stato una prova generale di quello che poi avverrà con l’ era della tecnica.
È il caso di sottolineare che una parcellizzazione estrema dei lavori favorisce fortemente a originare una unica e onnipresente angoscia ovvero quella di essere costantemente in grado di fare il nostro specifico lavoro. La continue e veloci innovazioni della tecnica sono tali che l’ uomo fa fatica a essere sistematicamente pronto a interiorizzare le cennate innovazioni e anche questo contribuisce fortemente a creare un disagio sociale.
Le odierne patologie mentali non sono più originate dall’assillo di ottemperare alle regole di una società della disciplina, bensì dalla paura di non essere più al passo con le sempre nuove richieste del nostro apparato di cui facciamo parte.
Questo viene anche accentuato dalla moderna solitudine che ha frantumato qualsiasi tipo di solidarietà e, quindi, il collega di lavoro non è che un competitore, in quanto, il meno preparato, in caso di crisi aziendale, sarà colui che verrà licenziato.
Di fatto, una logica imperante senza etica e/o morale e per la quale non esiste alcun vero pensiero alternativo.
Un pensiero alternativo necessitato dal fatto che viviamo un totale ribaltamento del principio illuminista per il quale a base dell’ agire deve esserci la tutela dell’ uomo.
Se un istituto bancario dispone che i propri dipendenti vendano dei titoli spazzatura e ciò viene eseguito, costituisce una concreto esempio delle conseguenze dell’ opera di chi sa fare solo di conto e non di quello che si pone un problema di etica. Infatti, al dipendente che proverà a sollevare un problema di etica in ordine alla truffa che si accinge a fare, sarà risposto dall’ azienda che egli è pagato non per pensare, e tanto meno in termini etici, ma per eseguire al meglio le disposizioni ricevute.
Quando giustamente si parla di crescente disumanizzazione, credo che la causa di ciò vada ascritta non a una generica e non meglio precisata caduta etica dell’ uomo, bensì alle modalità di produzione di beni e fornitura di servizi in una epoca nella quale la tecnica sta soggiogando gli esseri umani.
Perfino in quegli enti che dovrebbero essere non influenzabili dalle esigenze del mercato assistiamo a un preoccupante cambiamento involutivo. Basti pensare al fatto che in alcune scuole è stato abolito il tema scritto di italiano che permetteva all’ insegnante di conoscere in qualche modo la personalità dell’ allievo e a quest’ ultimo di arricchire la propria fantasia, e in fin dei conti, la propria umanità come essere pensante. Già dalla scuola, secondo certi programmi ministeriali, si dovrebbe rendere a costruire una futura persona disposta ad adattarsi alle esigenze dell’ era della tecnica. L’ uomo per la sua natura è debordante, ridondante, fantasioso, capace di planare sulla realtà che lo circonda. Ecco perché si tende, già dal sistema educativo, a non costruire il cittadino, bensì colui che dovrà al meglio integrarsi in una certa scala di valori.
Ho provato ad evidenziare alcune modeste riflessioni in ordine a una preoccupante involuzione del rapporto tecnica/uomo. Diamo troppo per scontato alcuni cambiamenti che, invece, dovrebbero indurci a riflessioni per evitare che un domani, non lontano, ci troveremo a vivere senza accorgerci, in un mondo nel quale l’ essenza vera dell’umano viene negata.
In quel caso, tutto può succedere come il ritenere possibile teorizzare e praticare l’omissione di soccorso nei confronti di chi sta annegando in mare, mentre cercava di raggiungere quella che per lui era “una terra promessa”.