Cultura

L’editoria ai tempi del coronavirus

Anche il settore dell’editoria è stato costretto ad adeguarsi ai tempi e alle necessità

di Paquito Catanzaro

Pensandoci quello dell’editoria è, da sempre, un settore fondato sullo smart working. Secondo una statistica – che potrebbe essere veritiera, ma potrebbe pure non essere mai stata realizzata – un redattore su due si porta il lavoro a casa. L’altro, probabilmente, è
esso stesso un editore e il suo ufficio col cartello DIRETTORE funge pure da camera da letto, salotto e sala conferenze.

Adeguarsi ai tempi e alle necessità” è il motto di un’editoria sempre più aperta al digitale, ma soprattutto al web. Va da sé che la redazione di Homo Scrivens (giusto per citare quella che il sottoscritto vivo quotidianamente) continua a lavorare come se in giro non vi fosse una pandemia, con la sola differenza del silenzio che pervade le mura di un ufficio nel quale si sente solo il rumoroso lavorio dell’editore impegnato nell’editing o nella revisione bozze di un romanzo in uscita. Gli editor – nella consueta modalità smart working – continuano a correggere testi e a bacchettare gli autori. Il reparto commerciale intrattiene virtuali rapporti epistolari (vista la presenza di tanti neologismi, mi sia concessa un’espressione vintage) con fornitori, librari (categoria che, tra mille difficoltà continua a lavorare e a fare del proprio meglio per consegnare libri in giro per la città) e i lettori che acquistano online. L’ufficio stampa – mio settore di competenza – si adatta alla situazione e trasferisce sui social il proprio lavoro. Da settimane, infatti, i libri vengono presentati in anteprima sulle pagine Facebook e Instagram della casa editrice coinvolgendo attivamente l’autore affinché presenti il suo nuovo romanzo ma, soprattutto, mostri l’uomo (o la donna) che si cela dietro l’autore.

Una novità accolta con grande entusiasmo dai followers e dai diretti interessati. I motivi sono molteplici. Innanzitutto viene messa da parte la rigidità (quasi sempre un pregiudizio, sigh!) della conferenza in favore una chiacchierata con l’autore all’interno di uno spazio quanto mai accogliente per chi scrive e per chi dialoga con lui o lei. Saloni, camerette o semplici librerie come sfondo per coinvolgere in una chiacchierata informale spettatori da qualsiasi parte del mondo che si lasciano andare a commenti, domande o semplici saluti in diretta. Un modo come un altro, il loro, per dire “Io ci sono e vi sto supportando”.

Per l’editore un importantissimo feedback. Questa e molte altre attività sono destinate, prima o poi, a essere accantonate in favore di
una normalità fatta di telefonate ininterrotte dalle 9:00 alle 20:00, di e-mail a festival e rassegne letterarie. Di imprecazioni contro il corriere che non ha ancora consegnato il libro al relatore di turno. Una normalità che ci manca ma che – a pensarci bene – non è mai stata di moda in una casa editrice.

This post was published on Apr 3, 2020 16:06

Roberta Quinzi

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