Crescono le polemiche intorno la difficile gestione dell’emergenza immigrazione in Italia e delle pericolose strumentalizzazioni e campagne xenofobe a cavallo dell’epidemia di Ebola nell’Africa subsahariana. Non un solo caso di emergenza reale, o di ipotetico contagio, è stato registrato sul territorio nazionale ma più che altro molteplici azioni razziste ai danni dei tanti migranti che in questi mesi sbarcano sulle coste meridionali. Con l’intento di arginare il sempre più diffuso fenomeno di psicosi collettiva, la paura di un contagio che trasformi i migranti in potenziali untori e portatori del morbo, si rende ormai più che doverosa una campagna di alfabetizzazione delle popolazioni sul rischio ebola.
Con l’intento di stemperare i toni argomentiamo innanzitutto che, da qualche settimana, l’Ebola non è più una malattia incurabile o mortale. Grazie ai ricercatori dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, e di aziende private coinvolte nel progetto, è stato sintetizzato un vaccino. Quest’ultimo non è in fase sperimentale come lo ZMapp statunitense, testato sui macachi, ma è già stato riconosciuto dai più autorevoli ministeri di sanità pubblica sul globo, e, attualmente, è un prodotto farmaceutico disponibile per la produzione e il consumo di massa.
Per capire meglio il fenomeno biologico dell’Ebola diciamo subito che esso è una patologia virale che raccoglie quattro ceppi specifici, di cui tre tendenzialmente letali per l’uomo. In origine la malattia non era umana ma lo è diventata al momento di più salti di specie, solitamente dai pipistrelli e dagli scimpanzé all’uomo. Il primo caso di Ebola fu diagnosticato nel 1976 nello Ex-Zaire, l’attuale Repubblica Democratica del Congo, ma i primi incubatori del morbo furono poi individuati nei gorilla di pianura, negli orango, e nei pipistrelli diffusi in Africa Centrale, in Cina, nelle Filippine, nel Borneo, in Indonesia.
La stragrande maggioranza dei pazienti affetti dall’Ebola, sprovvisti di vaccino, muore nell’89% dei casi per disfunzione multipla del funzionamento degli organi interni. La malattia virale si manifesta come una febbre emorragica con temperature iniziali comprese tra i 38 e i 39 gradi centigradi, cefalee, mialgie, atralgie, astenie, faringite, nausea, vertigini. Tra i successivi sintomi vi sono vomito scuro e diarrea con feci scure o sanguinolente, pupille dilatate e arrossate, collasso delle ghiandole maggiori, rotture delle pareti capillari. Il periodo di incubazione può variare dai due ai 20 giorni, ma, solitamente, la maggior parte dei casi manifesta la presenza del virus tra i 5 e i 10 giorni dopo il contagio. Il contagio avviene principalmente con il contatto con i fluidi corporei infetti, mentre in casi rari per via epidemica e attraverso le mucose.
Le aree dell’Africa Centrale attualmente coinvolte dall’epidemia sono state poste in quarantena e al di qua di una rigida rete di cordoni sanutari. Tutti i casi riconosciuti di Ebola in Occidente sono stati curati e guariti con la somministrazione sia di farmaci sperimentali sia di effettivi e riconosciuti.
Gli sbarchi di migranti sulle nostre coste non aumentano i casi di diffusione del morbo, in quanto esso potrebbe essere importato da qualsiasi canale convenzionale del trasporto civile. Chiunque, occidentali e non, potrebbero diffondere il virus, e anche se ad un certo punto vi fossero casi riconosciuti, gli avanzati sistemi sanitari isolerebbero facilmente l’insorgenza del fenomeno.