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Chiare, fresche, dolci acque…

di Roberto Braibanti

Questa settimana, mi chiedevo se fosse giusto scrivere in questo mio editoriale, di quanto avviene in questo sempre più disgraziato Paese, tra psicodrammi del PD e una politica Italiana ( ma anche europea) che stenta a ridurre la distanza tra quella che, ai più, sembra solo una lotta di potere e quelli che sono i veri bisogni dei cittadini.
Ma me n’è passata subito la voglia, per motivi che comprenderete…..

Perché credo che i problemi veri, che dovrebbero interessarci ,sono altrove.
Uno in particolare,molto sottovalutato oggi dai media ,ma destinato a diventare straordinariamente importante dal prossimo decennio in avanti.
L’acqua e la siccità .

Già perché dobbiamo essere consci che il valore crescente dell’acqua, le preoccupazioni concernenti la qualità e la quantità di approvvigionamenti, oltre che le possibilità di accesso, accordate o rifiutate, stanno avvicinando l’acqua al petrolio e a certe ricchezze minerali, in quanto risorsa strategica.

La sua rarità e il suo valore crescente porteranno sempre più a delle politiche dell’acqua e a conflitti internazionali che potranno attribuire ai diritti su quest’ultima un’importanza di primo piano.
Dare da bere agli assetati, ci dice il Vangelo. E’ un precetto elementare, uno di quelli su cui non si dovrebbe neanche discutere. Però non sempre succede e succederà sempre meno spesso..

Infatti oggi più di un miliardo di persone continuano a non avere accesso a una fonte sicura e 5 mila bambini muoiono ogni giorno per malattie legate alla mancanza di acqua pulita. A questo quadro drammatico si aggiunge l’effetto del cambiamento climatico che sta già sconvolgendo il ciclo idrico e che esaspererà i processi di inaridimento in molte aree del pianeta.

Ecco una proiezione del Potsdam Institute for Climate Reasearch:
al 2100 la scarsità d’acqua – se non si chiuderà il rubinetto dei gas serra – potrebbe colpire 2 miliardi di persone.
Il che , vi sarà chiaro ,significa fame, povertà, alluvioni, ondate di caldo, siccità, malattie e guerre per le risorse.

Non è la trama di un film catastrofista ma la bozza delle conclusioni d un rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) che sarà rilasciato a marzo\ sett. di quest’anno, ma di cui sono finiti online ampi stralci.
Sono sei i “rischi-chiave” che l’Ipcc prospetta( molti effetti li vediamo già nei telegiornali):

1. Vittime per il caldo e per le alluvioni causate dall’innalzamento dei mari
2. Carestie per l’aumento delle temperature e il cambiamento delle precipitazioni, soprattutto nei Paesi poveri
3. I contadini e l’agricoltura fallirà per la mancanza di acqua
4. Danni alle infrastrutture per il clima estremo
5. Ondate di calore pericoloso e mortali
6. Il collasso di alcuni ecosistemi terrestri e marini

Gli esperti specificano che nessuno di questi drammi è conseguenza esclusiva del riscaldamento globale, ma il global warming li peggiorerà tutti. E la parte sicuramente più controversa del rapporto è quella che collega riscaldamento globale e guerre: – “Il global warming aumenta indirettamente i rischi di conflitti violenti sotto forma di guerre civili, violenza tra gruppi e proteste”. –
Di più: il rapporto analizza la situazione e i rischi continente per continente:
in Nord America, il rischio maggiore sono i roghi incontrollati, le ondate di calore e le inondazioni.

Per Europa Sud America e Asia i danni arriveranno dall’acqua, nel senso di alluvioni e siccità, e dal caldo.
Il tutto sarà ancora più grave in Africa, dove il fantasma del futuro potrebbe causare morti di fame e di sete e gravi epidemie.
In Asia lo sfruttamento intensivo delle risorse idriche sta, ad esempio, lentamente causando il prosciugamento del mare d’Aral ed è motivo di conflitti interetnici gravi nella regione.

Infatti ,a causa anche dell’introduzione della monocoltura di cotone nella regione (dagli anni Sessanta del XX secolo fino ad oggi), il mare d’Aral ha perso il 60% della sua superficie e l’80% del suo volume e rischia di prosciugarsi entro il 2020.
Superfluo ricordare che da lì passano gli oleodotti e i gasdotti che interessano le economie di Russia, Cina, India e ovviamente Usa oltre che i consumi dell’Europa.

A voi immaginare le conseguenze di un conflitto in quell’area.
Ora guardiamo un po’ al mappamondo:
Nilo (Egitto ed Etiopia), Tigri ed Eufrate (Turchia, Siria ed Iraq), Danubio (Ungheria, Rep. Ceca e Slovacchia), Mekong (Cina e Paesi dell’Indocina), Indo (India e Pakistan), Colorado (Stati Uniti e Messico), Okawango (Namibia e Botswana), Canepa (Ecuador e Perù).
I fiumi, da sempre fonte di vita, nei suddetti casi sono anche fonte di discordia. Si stima che al mondo vi siano oltre 262 bacini fluviali condivisi tra più Stati: 59 in Africa, 52 in Asia, 73 in Europa, 61 in America Latina e Caraibi, e 17 in Nord America; in totale 145 Paesi al mondo hanno almeno un bacino in condominio.

Salvo rare eccezioni, quasi ovunque, la domanda è sempre la stessa: a chi appartiene l’acqua?
Non c’è una risposta univoca. L’acqua non rispetta i confini nazionali, anzi in molti casi li definisce. Quasi sempre le sorgenti di un grande fiume si trovano in un paese diverso rispetto alla foce, gli affluenti si diramano in altri stati ancora mentre lo sfruttamento idrico a monte condiziona enormemente la portata d’acqua a valle.

Ciascun Paese, a seconda che si trovi a monte o a valle di corso d’acqua, accorda la sua preferenza ad un criterio diverso per definire la questione. In compenso c’è una letteratura sempre più copiosa sugli episodi di velata o aperta ostilità che nel corso del tempo hanno visti protagonisti Stati rivieraschi.

Non a caso nel 1995 il presidente della Banca Mondiale aveva dichiarato che “le guerre del prossimo secolo saranno combattute per l’acqua”, e il caso del Nilo (più volte l’ Egitto ha minacciato azioni belliche contro gli Stati a monte) è forse l’esempio più emblematico delle tensioni che possono nascere in previsione di una crescente scarsità di tale risorsa.

Vi do’ un dato che aiuta a capire dove siamo adesso:
la concentrazione di Co2 nell’atmosfera è, adesso mentre leggete, secondo i dati del Noaa statunitense, al livello record di 400 parti per milione (all’inizio della rivoluzione industriale erano a quota 280) come 3 milioni di anni fa, quando l’homo sapiens non esisteva e il livello dell’acqua era più alto di 30 metri.

Trenta metri…..pensateci un attimo……vorrebbe dire intere città costiere spazzate via.
L’innalzamento dei mari è dovuto allo scioglimento dei ghiacciai, che battono quasi ovunque in ritirata, specialmente nell’Artico dove il pack perde più del 3,5% di superficie ogni dieci anni. La prestigiosa rivista Nature ci dice che il rilascio di metano nell’atmosfera dovuto al riscaldamento globale e al conseguente scioglimento del permafrost ( con produzione appunto di metano che aumenta l’effetto serra) in Russia come in Alaska, avrà un impatto climatico tale da causare all’economia globale perdite per 60 trilioni di dollari.

E il clima sempre più fuori controllo causa inondazioni e alluvioni continue, nei paesi più poveri come il sud-est asiatico dove i morti si contano ogni anno in decine di migliaia, senza parlare degli sfollati. Nonostante tutto questo, l’Ipcc continua a dircelo : ancora si può fare qualcosa.
Ancora.

17 febbraio 2014

Francesco Monaco
Francesco Monaco
Studente di Storia presso l'Università Federico II di Napoli e grande appassionato di sport. Fa parte della redazione di Road Tv Italia dall' ottobre del 2012, occupandosi principalmente di calcio e basket.
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