
In un’epoca in cui si parla di progresso, diritti e inclusione, la realtà lavorativa per molte donne resta segnata dalla discriminazione a sfondo sessuale, un fenomeno troppo spesso silenzioso e che si manifesta in modi diversi.
Ma c’è chi non ci sta, chi vuole gridare contro questo mondo ancora troppo patriarcale, maschilista. Ed è di pochi giorni fa la notizia di alcune stampe di chat con datori di lavoro apparse sui muri di San Pietro a Majella a Napoli per denunciare apertamente chi tenta di approfittare della propria posizione di “superiorità lavorativa” contro le donne, viste solo come “oggetto sessuale”. In una chat una ragazza chiede semplicemente di poter passare in ufficio per l’assunzione ma la risposta, esplicita e volgare è: “presentati senza mutandine. Voglio poggiartelo sul c… quando ti giri e mi fai impazzire “. In un’altra stampa che raffigura una seconda chat (probabilmente di un’altra vittima) si resta ancora più basiti: un istruttore di scuola guida insiste nel vedere la ragazza in questione dicendo testualmente “ti farei sentire cose che i tuoi coetanei non riuscirebbero, non avrebbero certe capacità, ti farò provare emozioni diverse, ti darò parte di me”.
Uno dei problemi più grandi legati a queste discriminazioni è il silenzio che le circonda, le donne che decidono di denunciare si trovano spesso sole, vittime di victim blaming (colpevolizzazione della vittima), o inserite in contesti aziendali che preferiscono insabbiare piuttosto che affrontare. In questo caso però c’è da apprezzare il coraggio della vittima, che denuncia pubblicamente questi spiacevoli episodi, facendo emergere la realtà del problema: non si tratta solo di “mele marce”, ma di un sistema che troppo spesso permette, copre o banalizza le molestie. La parola “consenso” è ancora, in molti contesti, fraintesa o ignorata. Verranno presi i colpevoli di questi spiacevoli episodi? Verrà fatta giustizia? Ci sarà un giorno effettiva parità di sessi in ambito lavorativo? Per ora resta un sogno, ma per renderlo realtà ora tocca a ciascuno di noi decidere se allargare la protesta, gridando, o ricoprirla di nuovo di silenzio.