Attualità

“Un’altra chance”, il progetto di reinserimento sociale che accompagna detenuti e ex detenuti verso il futuro

Giovedì 27 novembre, nei locali della Parrocchia San Francesco Caracciolo di Miano, a Napoli, si è concluso “Un’altra chance”, il progetto di reinserimento promosso dalla cooperativa Il Quadrifoglio. Un’iniziativa sostenuta da Cassa Ammende e dalla Regione Campania, e costruita in rete con gli enti che ogni giorno lavorano accanto alle persone private della libertà: l’Ufficio del Garante campano, l’UEPE e il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Alla giornata finale hanno preso parte diverse figure istituzionali: Samuele Ciambriello, Garante campano per i detenuti, la presidente della cooperativa Il Quadrifoglio Lidia Ronghi, le funzionarie UEPE Ughetta Pumilia e Dora Guastella, insieme a Padre Carlo De Angelis, cappellano del carcere di Secondigliano. Il cuore dell’iniziativa è semplice nella forma, ma potente nella sostanza: offrire una vera seconda possibilità a chi ha già pagato il proprio debito con la giustizia (o lo sta ancora pagando) fornendo strumenti concreti per rimettersi in piedi. Parliamo di orientamento, formazione, acquisizione di competenze professionali e sostegno alla genitorialità, tutto ciò che serve per provare a ricucire il rapporto tra individuo e società. Il percorso, partito ad aprile, ha coinvolto 11 persone in esecuzione penale esterna presso la parrocchia di Miano e 10 detenuti del Padiglione Firenze del carcere di Poggioreale. Dopo una prima fase dedicata al bilancio delle competenze, i partecipanti sono stati accompagnati in attività mirate a rinforzare conoscenze informatiche e abilità personali, passo indispensabile per affrontare il mondo del lavoro con maggiore sicurezza. E poi c’è il contesto, quello che spesso fa più male della pena stessa, una società veloce a giudicare, pronta a etichettare, il mondo esterno che resta un muro invisibile fatto di diffidenza: il vicino che ti evita, l’azienda che non ti assume, le relazioni che si sfilacciano e si perdono.

“Un’altra chance” prova a scalfire proprio quel muro, invitando tutti, non solo i partecipanti, a guardare la realtà con uno sguardo meno sbrigativo e più umano, perché una seconda possibilità non è una concessione ma un diritto.

Con la disponibilità di chi ci crede davvero, Lidia Ronghi ha accettato di concedere un’intervista per RoadTv Italia, una chiacchierata sincera, senza giri di parole, su cosa significhi dare davvero “un’altra chance” a chi prova a rimettere insieme la propria vita dopo il carcere:

Presidente Ronghi, come nasce l’associazione “Il Quadrifoglio” e quali sono le sue principali missioni sul territorio napoletano?

La Cooperativa Il Quadrifoglio nasce nel 1991 con l’obiettivo di offrire risposte concrete ai bisogni delle fasce più fragili della popolazione. In più di trent’anni di attività, abbiamo costruito una rete di servizi che va dalla tutela dei minori alla prevenzione della violenza di genere, dal supporto educativo alla promozione dell’inclusione sociale. Operiamo nei contesti più complessi del territorio campano con l’approccio di chi crede che il cambiamento sia possibile solo attraverso prossimità, competenza e visione. II nostro impegno quotidiano è quello di generare opportunità, restituire dignità e contribuire alla costruzione di comunità più giuste ed empatiche.

Un’altra chance” è un vero e grande progetto innovativo. Può raccontarci come è nato e quali esigenze ha voluto intercettare?

È nato dall’ascolto delle reali esigenze di chi vive un’esecuzione penale esterna. Spesso queste persone scontano la pena senza reali occasioni di cambiamento. Con “Un’altra chance” abbiamo voluto offrire strumenti concreti: orientamento, bilancio delle competenze, supporto alla genitorialità, formazione digitale. Un’occasione per ripartire con dignità.

In cosa si distingue “Un’altra chance” rispetto ad altri programmi di reinserimento già attivi a livello regionale o nazionale?

Nella sua dimensione umana e integrata. Non è solo un progetto, ma un percorso costruito intorno alla persona. Abbiamo unito il lavoro educativo, quello sociale e il coinvolgimento del territorio, favorendo un senso di appartenenza e responsabilità. È un modello di corresponsabilità tra istituzioni, enti del terzo settore e comunità.

Quali sono le principali difficoltà che avete incontrato nel mettere in pratica “Un’altra chance”, sia a livello burocratico che culturale?

Le difficoltà maggiori sono state culturali. Il pregiudizio è ancora forte, così come la convinzione che chi ha sbagliato non possa cambiare. Ma anche la burocrazia spesso rallenta interventi che invece avrebbero bisogno di immediatezza e flessibilità. Tuttavia, la collaborazione tra partner istituzionali ha fatto la differenza.

Cosa significa per Lei, personalmente, vedere detenuti ed ex detenuti lavorare insieme in un percorso comune?

È una delle esperienze più forti e significative della mia vita professionale. Vedere persone che si mettono in giocо, che vogliono recuperare la propria identità sociale e familiare, è la dimostrazione che il cambiamento è possibile. Ed è proprio lì che il nostro lavoro ha senso.

Qual è il messaggio che desidera lanciare ai cittadini, spesso diffidenti verso il reinserimento dei detenuti?

Il reinserimento non è una concessione: è una responsabilità collettiva. Nessuno nasce colpevole, e ognuno ha diritto a una seconda possibilità. Investire nella rieducazione significa costruire una società più sicura, giusta e umana. Diamo fiducia, perché il riscatto è possibile.

Il cambiamento arriva quando istituzioni, volontari, parrocchie e detenuti si siedono allo stesso tavolo e decidono di giocarsela insieme. Una seconda possibilità non è un regalo, ma è la base per costruire una società meno ipocrita e più giusta. Grazie ad “un’altra chance” lo si è visto accadere.

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