Strage di Paderno Dugnano: lo specchio dei malesseri di una società sempre più sola

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Strage di Paderno Dugnano: lo specchio dei malesseri di una società sempre più sola

In Italia, il 43% degli omicidi avviene all’interno delle mura domestiche. Secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno, dal 1° gennaio al 25 agosto sono stati commessi 186 omicidi nel nostro Paese, di cui 88 all’interno delle famiglie, quasi la metà del totale, una lunga lista di crimini che continua ad allungarsi. Di poche settimane fa è la notizia di una vera e propria strage a Paderno Dugnano (Mi), in cui un giovane di appena 17 anni (tal Riccardo C.) ha barbaramente ucciso i genitori (il padre aveva spento le candeline del suo cinquantesimo compleanno proprio la sera precedente) e il fratellino con si sfidava ai videogiochi, fino a poche ore prima dell’omicidio. Una famiglia normale, una famiglia fatta da persone semplici, come sostengono in molti del vicinato, nessuno avrebbe mai sospettato che all’interno di quelle mura si celasse un assassino. Nella ricostruzione del triplice omicidio, il ragazzo ha affermato che per il suo malessere avrebbe voluto “proprio cancellare tutta la mia vita di prima“, parole che a prima vista possono turbare chiunque, innervosire anche, ma che in realtà dovrebbero far riflettere e domandarsi semplicemente: “perchè?”. Non è ahimè né il primo né l’ultimo caso di omicidi di tal genere che verranno tristemente ricordati nella storia della nostra società: ricordiamo ad esempio come nel 1991 un certo Pietro Maso, allora ventenne, massacrò i genitori Antonio e Rosa nella loro casa a Montecchia di Crosara (Verona) utilizzando un tubo di ferro e una pentola, aiutato dai suoi amici Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e Damiano Burato. Maso fu condannato a 30 anni di prigione, mentre gli amici a 26 e l’allora minorenne Burato a 13. Nel 2008 Pietro è riuscito ad ottenere la semilibertà e ha terminato la sua pena nel 2013 grazie all’indulto. Nel 2023 è stato nuovamente indagato per un tentativo di estorsione ai danni delle sue sorelle.

Ciò che però ci fa rabbrividire e ci propone un interrogativo inquietante è: cosa spinge un figlio a compiere un atto così feroce? Una freddezza incredibile, unita alla ferocia e alla violenza, un mix perfetto da inserire in un curriculum del perfetto assassino, del mafioso perfetto, ma non abbinabile alla personalità di un comunissimo adolescente di buona famiglia! C’è però da esaminare per bene le parole del ragazzo dette in fase di interrogatorio, il voler necessariamente cancellare la sua vita fino a quel momento, il sentire di doversi liberare dal disagio che la famiglia gli provocava. Le parole del ragazzo “svelano un dramma interiore profondo, in cui l’incapacità di gestire la rabbia e la frustrazione si è trasformata in un detonatore letale”, ha spiegato lo psicoterapeuta Giuseppe Lavenia, presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo. “Quando un individuo si sente così oppresso da compiere un gesto così estremo, ha aggiunto, emerge una chiara difficoltà nel gestire le proprie emozioni e nel trovare strumenti adeguati per affrontare il conflitto interiore. Tuttavia, questa situazione denuncia anche qualcosa di più grave: la presenza di una mente profondamente disturbata, incapace di distinguere tra realtà e percezione distorta della stessa”. A tal proposito un’altra domanda potrebbe attanagliare i nostri pensieri: cosa si potrebbe fare per prevenire questo tipo di crimini? Cosa si può fare per far crescere gli adolescenti in modo sano? Beh, forse la risposta potrebbe essere molto più semplice di quello che si possa immaginare: ciò che serve come l’ossigeno è una vera e propria educazione emotiva! Al giorno d’oggi le famiglie, prese dalla routine quotidiana e da mille faccende da sbrigare in senso pratico, trascurano l’aspetto emotivo dei propri figli, si concentrano quasi esclusivamente sul benessere materiale, pensando magari che un oggetto, un vestito, un regalo o qualsivoglia bene materiale possa colmare il vuoto che circonda i propri ragazzi … eppure non è così: una parola, un pomeriggio insieme, una passeggiata, sono tutti ingredienti che servono a coltivare bene il fiore dell’amore genitoriale, e ad insegnare ai figli la gestione delle proprie emozioni! Fino a pochi decenni fa non era così, gli impegni c’erano, il tempo per gestire lavoro e famiglia scarseggiava ugualmente, ma un genitore trovava comunque il tempo per seguire i propri figli, capire eventuali suoi malesseri, dargli sostegno … amarlo e non solo viziarlo insomma! Oggi come oggi tutti noi, e in modo particolare i giovani, siamo sempre connessi, scambiamo whatsapp a ritmo serrato, comunichiamo attraverso videocall e social vari, addirittura anche con i nostri stessi genitori, ma siamo paradossalmente e tristemente molto più soli di quello che si possa immaginare. Ora toccherà agli inquirenti stabilire per bene le dinamiche dei fatti e stabilire una condanna per Riccardo, ma soprattutto toccherà ad una rete di psicologi e psichiatri capire il malessere di questo ragazzo.