Attualità

L’Albergo dei Poveri riapre le porte alla memoria: nasce “Ancora Qui. Prologo”


Martedì il Real Albergo dei Poveri ha spalancato le sue porte per inaugurare Ancora Qui. Prologo. L’Albergo dei Poveri e la Memoria delle Cose, mostra curata da Laura Valente, direttrice artistica di Napoli 2500. Un evento centrale nel calendario delle celebrazioni volute dal Comune e dal sindaco Gaetano Manfredi, che qui ha deciso di giocarsi una delle carte più importanti.

La mostra sarà visitabile fino al 2 marzo 2026, gratis (basta prenotare), e già questo basterebbe a far drizzare le antenne. Ma la vera chicca è un’altra: per la prima volta il pubblico può entrare nel Refettorio monumentale del complesso, mentre i lavori di restauro sono ancora in corso. Una specie di “work in progress” condiviso, raro e affascinante, dentro un luogo che da secoli è un pezzo enorme della storia sociale di Napoli e che dovrebbe tornare a vivere a pieno regime dalla metà del 2026.

Durante la ristrutturazione sono saltati fuori oggetti originali, tracce di vita vera di chi ha abitato queste mura: piccoli reperti che raccontano silenzi, fatiche e quotidianità. L’esposizione li rimette al centro, intrecciandoli con interventi artistici contemporanei per dare nuova voce alla vocazione educativa e sociale del RAP che non a caso è sempre stato chiamato “fabbrica del saper fare”.

Il percorso unisce fotografia, installazioni, performance e lavori di artisti come Norma Jeane, Antonella Romano, Mimmo Jodice e Luciano Romano. Un archivio vivo, che si muove e si trasforma, accompagnato da documenti rari che mostrano anche lati meno conosciuti e spesso duri della vita nell’istituto.

La storia del luogo non è mai stata semplice: generazioni di ragazze e ragazzi finirono sotto il controllo di autorità religiose e civili, tra chi veniva instradato a un mestiere e chi, purtroppo, veniva destinato ai lavori domestici presso famiglie nobili. Un colosso rimasto incompiuto, quello di via Foria, che ancora oggi continua a interrogare la città: un monumentale tentativo di giustizia sociale inciso nella pietra, sospeso tra ciò che è stato e ciò che potrebbe tornare a essere.

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