Il lungo dibattito sul suicidio medicalmente assistito torna in questi giorni prepotentemente al centro dell’attenzione, mettendo ancora una volta in risalto le voci di chi soffre e chiede soltanto di poter porre fine a dolori insostenibili, propri e dei propri familiari. Dopo la vicenda di Laura Santi, conclusasi positivamente poche settimane fa, un nuovo caso ha acceso i riflettori in Campania, nel Cilento per la precisione. Protagonista è una donna di 44 anni affetta da tempo da Sla, alla quale l’Asl Napoli 3 aveva inizialmente negato l’accesso al suicidio assistito. La sua determinazione, però, è stata utile per aprire una strada diversa. “Ho il diritto di non essere condannata a soffrire”, aveva dichiarato poco più di un mese fa, quando si è rivolta all’Associazione Luca Coscioni, chiedendo l’assistenza legale dell’avvocata Filomena Gallo e presentando un ricorso d’urgenza al Tribunale di Napoli. Il tribunale le ha dato ragione: i giudici hanno infatti accolto il ricorso, stabilendo che l’Asl dovrà rivalutare la richiesta seguendo un iter trasparente e garantendo tempi certi. In particolare, l’azienda sanitaria sarà tenuta a predisporre una visita domiciliare, verbalizzare ogni passaggio e trasmettere la documentazione clinica aggiornata al comitato etico competente. Un passaggio che consentirà alla donna di ripresentare immediatamente la sua istanza e sarà quindi compito dell’Asl convocare una nuova commissione medica e inoltrare il fascicolo al comitato etico. Se tutti i requisiti saranno confermati, la paziente potrà finalmente intraprendere un percorso che riconosce il suo diritto all’autodeterminazione. Questa vicenda non rappresenta soltanto una vittoria personale, ma diventa il simbolo di una battaglia più ampia che riguarda migliaia di malati in Italia, sospesi tra diritti dettati dalla giurisprudenza e un vuoto legislativo che il Parlamento non ha ancora colmato. Una vittoria, dunque, solo parziale: il cammino prosegue con la rivalutazione clinica, il vaglio del comitato etico e, infine, la possibilità concreta di ottenere ciò che la donna chiede da tempo, nient’altro che un congedo dignitoso dalla vita.
La storia di questa donna, così come quella di Laura Santi e di tante altre persone affette da malattie inguaribili, dovrebbe far riflettere e scuotere la coscienza di tanti: la loro non è una richiesta di guarigione impossibile se non con un vero miracolo, ma la possibilità di scegliere di morire dignitosamente. Non è un rifiuto della vita il loro, anzi, ma la voglia di affermare un diritto inviolabile, quello di decidere sul proprio corpo, sulla propria esistenza e sul proprio destino. E allora un paio di domande sorgono spontanee: è davvero libera una persona che è costretta a vivere contro la propria volontà, nella sofferenza di un corpo senza alcuna speranza di guarigione? E in più, la dignità della vita si ottiene solo con la sua durata o anche nella qualità con cui viene vissuta?
This post was published on Ago 18, 2025 9:30
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