“Era già tutto previsto…”, così recita il toccante brano di Riccardo Cocciante che fa da principale colonna sonora all’ultimo, discusso, lavoro cinematografico di Paolo Sorrentino. In fondo, erano già previste anche tutte le opinioni contrastanti che questo film ha suscitato. “Parthenope” è infatti un film fuori dal comune, che incarna perfettamente il cinema controverso del suo regista. Il lungometraggio ha voluto rappresentare una grande metafora della città di Napoli, evidenziandone la travolgente bellezza ma anche i numerosi e fastidiosi difetti. Sono gli anni ’50 del Novecento: Parthenope, ragazza nata in mare interpretata da Celeste Dalla Porta, è dotata di una bellezza travolgente da conquistare ogni uomo che incontra, perfino suo fratello Raimondo. Nel corso del film la vediamo vivere diverse esperienze e l’unico uomo con cui ha un rapporto puramente platonico è il professore universitario di antropologia Devoto Marotta (Silvio Orlando), uno dei personaggi maggiormente importanti e impattanti. Proprio il tema dell’antropologia può essere considerato il fulcro del film, l’appiglio a cui lo spettatore può “aggrapparsi” nel momento in cui il cinema di Sorrentino, travolgente ma, diciamocelo, a volte confusionario e visionario, rischia di far perdere il punto centrale. Altre scene che hanno fatto scalpore nelle sale italiane sono la scena la scena del figlio di Marotta, la scena di sesso tra i clan della mafia e del suicidio del fratello di Parthenope che, per disperazione, si lancia da una ringhiera. Tutti questi eventi e concetti costituiscono per Sorrentino un inno alla giovinezza perduta e al desiderio, e in questo il film sembra la sintesi tra “La Grande Bellezza”, film maggiore di Sorrentino, e “Youth”, altra sua opera. In generale, tutto il lungometraggio è una grande autocitazione proprio alla “Grande Bellezza”, di cui riprende la struttura fatta di scene fotografiche e distaccate tra loro, la mitologizzazione di una città (in quel caso Roma, qui Napoli) e la centralità di un singolo personaggio, che in Parthenope si concretizza nell’interpretazione messa in atto da Celeste Dalla Porta. “Parthenope”, nella sua visione di Napoli, è anche però l’invito a cogliere i segreti di un’esistenza che scorre inesorabile e di una città piena di sfumature e infatti, la Parthenope di Sorrentino è una giovane col mondo ai suoi piedi, corteggiata da tutti e cerca la propria identità affermando la propria autonomia e disinibizione. Le scene di sesso sono tra gli aspetti più criticati negativamente del film. Per quanto riguarda il rapporto delle nuove generazioni con il sesso, diventato più complicato a causa dei social e della pornografia molto accessibile, alla domanda ‘’Che cosa è cambiato rispetto al passato?’’ Sorrentino ha risposto così: «Francamente non so che cosa rispondere. Non sono in grado di fare un paragone tra le generazioni e non mi piace pontificare sui giovani perché si finisce sempre in quell’imbuto orrendo in cui si dice che eravamo meglio noi di loro. Posso dirle però che nel film non ho raccontato il sesso perché l’ho sempre trovato una cosa che confina con la ginnastica. Mi interessa invece la seduzione, vale a dire i rapporti di forza che si instaurano tra le persone nel mondo dei sentimenti. La seduzione è il modo più gentile, affettuoso e intelligente che le persone possono mettere in atto per instaurare dei rapporti di forza». Gentilezza e generosità sembrano essere parole chiave per il regista napoletano, come possiamo notare anche nelle risposte degli attori alla domanda “cosa avete imparato da uno come Sorrentino?” Daniele Rienzo: «me lo sono scritto sul telefono durante le riprese del film. La generosità. Ho osservato molto Paolo e mi ha stupito la generosità con cui scrive, con cui gira, con cui mette insieme le cose e le persone». Dario Aita: «Io parlerei dell’eredità di Sorrentino più che del film che ho girato con Paolo. Guardo i suoi film da quando avevo tredici anni e la sua poetica è stata per me una formazione artistica, umana, estetica ed etica. Ha avuto il coraggio di essere un poeta quando tutti andavano da un’altra parte. Ed è stato libero». Nonostante la maggior parte delle persone sia uscita dalla sala del cinema abbastanza confusa, ciò è del tutto normale: d’altronde, come afferma Sorrentino, “ci metto almeno dieci anni a capire i miei film”.
Luigi Zambelli e Cristian De Sio
This post was published on Feb 20, 2025 15:03
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