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Caino e Abele oggi

Nelle ultime settimane, oltre al terribile carico di violenza presente in tanti scenari di guerra, abbiamo assistito in Italia a  svariati episodi di inaudita crudeltà.

La morte – dopo 2 giorni di atroce agonia – del bracciante clandestino Satnam Singh, sfruttato per 2 euro l’ora in nero, ferito a morte da un macchinario che gli aveva tranciato un braccio, e scaricato in strada come un sacco della spazzatura.

I maltrattamenti continuati e aggravati con minacce, violenze fisiche e psicologiche, insulti e derisioni: in una casa di riposo a Napoli verso una quindicina di anziani (tra cui anche una ultracentenaria) e a Roma in un centro con pazienti affetti da gravi patologie psicofisiche. Vessazioni subite proprio da parte di chi avrebbe dovuto averne custodia, cura e vigilanza. determinando nelle vittime – incapaci di reagire – malesseri, lesioni, sofferenze fisiche e morali.

Cosa accomuna e qual è il background di questi e altri numerosi fatti di violenza?

Parliamo da una parte di un’umanità inerme, vulnerabile e indifesa: donne, anziani, disabili fisici e psichici, minori, vittime di bullismo, spesso accomunati da un grande e frustante isolamento che li priva di una valida rete di aiuto e sostegno.

Dall’altra di persone che, proprio su queste persone fragili, sfogano quotidianamente i propri istinti di invidia, frustrazione, rabbia, collera, odio, violenza.

Viene subito in mente il racconto biblico di Caino e Abele. Due fratelli, diversi tra loro, due aspetti in conflitto della stessa umanità: la vitalità e la forza di Caino contro la fragilità e l’impotenza – come da nome – di Abele (Hebel=soffio).

Come diceva il monaco camaldolese padre Benedetto Calati “C’è un Caino costantemente in giro per la storia, che attraversa i secoli”. Lo vediamo in questi tempi difficili, in cui tanti nuovi Caini scuri, abbattuti in volto e irritati contro gli altri – visti come ostacoli all’istinto di possedere e vincere su tutto (come nelle tante guerre in corso) – covano dentro un mix esplosivo di collera e depressione, pronto a scattare contro l’Abele di turno.

L’istinto di male accovacciato nei loro pensieri e non tenuto a bada,  diventa prima sospetto e discordia; quindi aggressività, odio, rancore; fino alla violenza bestiale e all’omicidio (come nei terrificanti omicidi di Thomas a Pescara o di Serena Cecchettin)

Abele oggi ha il volto di chi è povero, perdente, di chi ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui, e viceversa subisce violenza disumana ed efferata: i morti in mare o nel deserto sulle rotte della speranza, i profughi (come le giovani migranti eritree sorprese da un camionista a Ventimiglia e prese a cinghiate, come delle schiave), i tanti homeless abbandonati delle nostre città, i lavoratori in nero del bracciantato agricolo trattati crudelmente; e ancora i due terzi degli anziani nelle RSA  e nelle case di riposo (Dati Società Italiana di Gerontolgia e Geriatria 2024), vittime di violenza e abusi quotidiani da parte di chi li dovrebbe assistere e proteggere.

Troppo semplicistico e facile prendersela con gli autori di gravi misfatti, come dei mostri isolati. In realtà il male è accovacciato a fianco di ognuno, pronto a risvegliarsi facendo leva sull’istinto divisivo ed aggressivo, e colpire sino a eliminare l’altro. È la cultura vittimista, inaccogliente e bellicista dell’occidente che si percepisce giusto e migliore (pur accettando tranquillamente sanguinosi conflitti, sentendosi anche giustificato per storia e cultura); se la prende con il vicino e il debole di turno, percepito come avversario da eliminare in quanto altro da sé. Al punto che oggi – secondo Papa Francesco – la fraternità umana, infragilita e corrotta da sovranismi, dittature, populismi – è  “guerre dappertutto”.

Ma davanti al dramma del male e alla gravità delle sue conseguenze, è possibile dominare gli impulsi egoistici e divisivi, quell’istinto “di pancia” di Caino che è in noi stessi, nella società, in tanta parte della politica, e realizzare una fraternità diffusa?

Certamente la fraternità, sinonimo di differenza e  diversità,  si rivela sin dagli inizi della storia – e fino ai nostri giorni –  fragile, incerta, potenzialmente generatrice di conflittualità e violenza. Ma anche costituisce una dimensione essenziale, profonda e irrinunciabile di ogni uomo, che nessuna differenziazione storica, culturale, religiosa può cancellare o rendere irrilevante.

Il pensiero comune “Sono forse io il custode di mio fratello?” è anche qui  un istintivo prendere le distanze dall’altro, nella egocentrica illusione di poter vivere e farcela da soli (generando piuttosto contrapposizione, sofferenza e violenza fino al sangue). L’indifferenza – come dice Liliana Segre, vittima della violenza nazista, è più colpevole della violenza stessa ed è la chiave per comprendere la ragione del male.

Oggi non è più accettabile vivere  e guardare in modo distaccato e indifferente alla violenza – sentendosi peraltro immotivatamente nel giusto- quanto meno per i suoi costi in termini economici, sanitari e giudiziari.

Ma soprattutto per una grande responsabilità che il mondo adulto ha verso le generazioni più giovani.

I ragazzi infatti, apprendendo dalla violenza delle generazione precedente, spesso rischiano di crescere nella solitudine, senza parlare con gli altri, senza neanche comprendere la differenza tra il bene e il male.

Per cambiare le loro menti e i loro cuori dobbiamo impegnarci in prima persona ogni giorno – la parte giusta infatti si sceglie ogni giorno – ad indicargli sin da piccoli la strada di dominare l’istinto,  del non mettere in pratica atti di violenza e del non sopportarli silenziosamente.

Mostrare loro che l’essere umano – oltre che di istinto egocentrico di ottenere ciò che si vuole con la forza – è fatto anche di pensiero, amore, cultura, generosità, intelligenza: preziosi talenti che possono essere spesi insieme verso gli altri, in particolare i poveri Abele, curando le loro ferite. E in tal modo anche le nostre.

This post was published on Lug 24, 2024 8:07

Mario De Finis

Docente, formatore e autore di testi in ambito universitario. Credo che promuovere insieme una cultura inclusiva e di pace, ispirata da amicizia e solidarietà, possa cambiare la vita e la storia. A partire dai giovani e dai più fragili.

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