Prologo: Il dodici marzo scorso la Corte Costituzionale Federale Tedesca di Karlsruhe ha stabilito che i lavoratori statali di fede musulmana potranno ritornare ad indossare il velo nei luoghi di lavoro. Tutto il casino era scoppiato dodici anni fa, quando nel 2003 era stata approvata una norma che prevedeva che ogni stato federale (Lander) deliberasse in maniera indipendente.
Apriti cielo. Anzi, apriti velo. In diversi dei 16 Laender, tipo le regioni da noi, era subito scattato il giro di vite antipezzaincapa. Dopo questa sentenza a favore del “Kopftuch” tutto sembrava ritornato più o meno nella logica che prevede l’inaccettabilità di qualsiasi discriminazione sociale per motivi religiosi. Ho detto sembrava.
Infatti Berlino, che è “città-stato” e dunque fa un po’ come cacchio le pare, già dal 2004 aveva stabilito una norma che prevedeva che tutti, e dico tutti i simboli visibili relativi a qualsivoglia confessione religiosa – dagli acchiappasogni dei Cheyenne al crocefisso, dalla kippah ebrea al tatuaggio di Maradona – sono banditi dai luoghi pubblici e non possono essere indossati dai lavoratori statali. Fatevi un po’ più in là, perché adesso casca l’asino.
L’altro giorno sul Berliner Fenster – la metro TV presente con migliaia di monitor su tutti i vagoni che generalmente manda in onda testi che sono un mix di gossip e cazzate che la D’Urso manco se le sogna – ho letto di una poliziotta islamica che si è rifiutata di togliersi il velo in servizio perché afferma che il suo è solo un foulard e non un simbolo confessionale. Non so come sia andata a finire e suppongo che la Neutralitaetsgesetz continuerà ad essere applicata senza deroghe e favoritismi.
Però, dopo tutto questo paraustiello giuridico che vi avrà fatto sicuramente crescere un velo spontaneo di ragnatele sul sacco scrotale, mi volevo soffermare su di un aspetto che non riesco proprio a capire:
Perché le ragazze islamiche si coprono attentamente i capelli, pena la disapprovazione di tutta la loro comunità, ma hanno il permesso di truccarsi il viso peggio di Moira Orfei mascherata da bagascia a carnevale?
Perché le ragazze islamiche, specialmente qui a Berlino, indossano questi copricapi elastici sotto al velo, che dal collo in su sembrano Maiorca mentre tenta di battere il record di immersione in apnea, e poi però nella migliore delle ipotesi vanno in giro con il culo fasciato stretto nei leggings leopardati?
Perché per Maometto il bulbo pilifero è simbolo di peccato mentre la mutanda nera sotto al pantacollant bianco, così frequente tra le sue adepte, non è mai citata come consuetudine immonda nel Corano?
Insomma, cosa c’è nei capelli di così peccaminoso che un tacco dodici ai piedi di una islamica ortodossa col cappottino fino alle caviglie non potrà mai contenere?
La risposta è “boh“, che in arabo significa “fatevi gli affari vostri e pensate piuttosto a chi avete come ministro per i rapporti con il Parlamento”.
Tschuess dal vostro Khan Akis
Indonesia, velo islamico con seno ben in vista. E’ polemica per la nuova “moda” del jilboobs, il contestato binomio made in Indonesia di velo islamico e vestiti attillati che ha immediatamente suscitato la reazione della comunità religiosa. Il termine deriva dalla contrazione del termine jilbab (o hijab, il velo corto indossato dalle donne musulmane) unito alla parola slang inglese che indica il seno. Le autorità musulmane vorrebbero però vietare questa tendenza seguita da sempre più donne che, tenendo comunque coperto il capo, vogliono accentuare le loro curve.
Nei giorni scorsi, il Consiglio indonesiano degli Ulema, autorità sull’Islam nel Paese, ha dichiarato che indossare il velo islamico con indumenti attillati è vietato. Ovviamente non si sono fatte attendere le reazioni delle donne. Questa nuova moda è sbarcata anche sui social network, tanto che su Facebook è stata creata una pagina ad hoc – dove le donne possono pubblicare le loro foto in jilboobs – che ha già ottenuto quasi 39mila “Mi piace”. Da parte sua, la scrittrice femminista Julia Suryakusuma ha condannato la reazione “istintiva” del Consiglio, sostenendo che si tratta “semplicemente della convergenza delle tendenze verso la religiosità con la globalizzazione… una tendenza di moda”.
(Ndr) Esistono diversi tipi di velo in uso tra le donne musulmane. Ognuno di essi è fortemente legato all’area di appartenenza geografica della donna e ne riflette la cultura, anche oltre l’aspetto puramente religioso.
Viene chiamato genericamente hijab il normale foulard che copre i capelli e il collo della donna, lasciando scoperto il viso. Sebbene nel Corano la parola venga utilizzata in maniera generica, oggi è diffusa per indicare la copertura minima prevista dalla shari’a per l’uomo e soprattutto per la donna musulmana. Questa copertura prevede non solo che la donna veli il proprio capo (nascondendo fronte, orecchie, nuca e capelli), ma anche che indossi un vestito lungo e largo, in modo da celare le forme del corpo.
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This post was published on Nov 19, 2015 10:28
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