Il 4 giugno del 1994 Massimo Troisi moriva nel sonno, tradito da quel cuore che tanta pena gli aveva dato fin da bambino. Oggi ricorrono i 30 anni da quel triste giorno, e ancor di più viene da chiedersi cosa avrebbe detto del mondo di oggi, che film avrebbe fatto per raccontarlo e dissacrarlo a modo suo.
Gli inizi teatrali con “La Smorfia” con gli storici Lello Arena e Enzo De Caro, e poi l’approdo in tv nel 1977, con grande successo di pubblico, partendo da “No stop” di Enzo Trapani, che lì scoprì in un piccolo teatro di Roma, passando poi per i suoi “mentori”, Pippo Baudo e Gianni Minà. Da lì il cinema, che scopre in Massimo quel talento unico di attore “comico”, autore malinconico, poeta sorprendente, dalla visione personale, dalla timidezza e gentilezza non comune. “Ricomincio da Tre” l’opera prima che lo consacra al pubblico, passando per Benigni, Scola, fino a quella che si può considerare la sua “opera-testamento”, ovvero “Il postino”, in cui già malato affidò la regia a Michael Redford, e in cui nelle scene più faticose si fece sostituire da una controfigura. Film che non vide mai, si spense infatti pochi giorni dopo la fine delle riprese.
A molti era ed è evidente che portava su di sé un’aura speciale, anche nella sua spesso amara narrazione, e nella sua provocatoria contestazione religiosa, manifestata in molti sketch e sequenze di film, che lasciava forse trasparire a volte un sentimento di protesta sovrastante il proprio tentativo di ricerca di Dio e di senso.
Ed infatti da allora, in maniera quasi trascendente, soprattutto in chi lo ha vissuto, ma anche in tutto quel pubblico che lo ha amato, ha germogliato un sentmento di legame ancor più profondo di quello che trasmetteva in vita, in alcuni casi addirittura di fede, come testimoniato ancor oggi da Gigi Troisi, uno dei suoi fratelli, ed ha lasciato una “presenza” che fa sentire a molti che in realtà non se ne è mai andato davvero, e che vivrà ancora a lungo in mezzo a noi.
This post was published on Giu 4, 2024 14:49
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