Lo scorso 8 novembre, gli ispettori dell’Unesco, il britannico Christopher Young e il francese Jean-Pierre Adam, si sono impegnati a controllare attentamente tutta l’area degli scavi di Pompei. La permanenza del sito nella lista dei patrimoni dell’umanità è in discussione, ma i responsi sullo stato di salute in cui versa la città antica sarà reso noto solo la prossima primavera, per ora rimarrà tutto ancora avvolto nel mistero. Alla base delle ricerche dei due ispettori c’è la volontà di scoprire in che misura i custodi vigilano sugli scavi e come siano possibili le incursioni notturne di estranei nell’area. Ancora, si cerca di individuare una soluzione riguardo l’erosione turistica terrificante dovuta al calpestio di miglia di persone.
Sembra incredibile, ma mentre il resto del mondo prova in tutti i modi a incoraggiare il turismo sfruttando al massimo le attrazioni, magari anche misere, che possiede, in Italia, la patria della cultura, si prova a fare il contrario: arginare il flusso turistico. E così, invece che provare a risolvere i problemi gestionali, di manutenzione e di sicurezza degli scavi di Pompei, offrendo ai fruitori una qualità di servizi all’altezza della situazione, si preferisce chiudere al pubblico un tale patrimonio: dall’anno prossimo, infatti, gli scavi potrebbero avere un ingresso a numero chiuso per evitare che il calpestio di milioni di persone rovini l’area. D’altronde, anche adesso capita che i turisti rimangano fuori dai cancelli degli scavi: la scorsa settimana, infatti, i dipendenti dell’area archeologica si sono barricati all’interno del sito archeologico in un’assemblea sindacale permanente, impedendo l’ingresso a migliaia di visitatori, quasi 3000. Massimo Osanna, soprintendente di Pompei, si è scusato pubblicamente con i turisti ma non si è ancora espresso sulla strategia del numero chiuso.
This post was published on Nov 13, 2014 15:38
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