L’ultimo lavoro del musicista, scrittore e poeta Alessandro Pierfederici è la raccolta di poesie “Schiudeva primavera le corolle”.
Queste poesie coprono un arco di tempo di circa dieci anni: alcune sono state scritte fra il 1983 e il 1993, nei momenti delle prime crisi esistenziali della giovinezza; altre appartengono a periodi successivi, nei quali riaffiorano i ricordi di quei momenti lontani. La poetica dell’autore è assolutamente incisiva e struggente, dotata di rara potenza narrativa. Un altro aspetto di questo grande artista italiano.
Riesco a far convivere le varie anime della mia arte come se si completassero l’un l’altra. La scrittura in me è sempre stata più connaturata rispetto alla musica che, invece, è stata un’acquisizione inizialmente indotta poi rivelatasi una scoperta, al punto da diventare per un lungo periodo il mio interesse artistico esclusivo, soprattutto nella mia aspirazione a diventare direttore d’orchestra. La scrittura esprime il mio aspetto più creativo, tanto che persino l’unico saggio che ho finora pubblicato contiene parti narrative e d’invenzione, mentre come musicista mi sono dedicato quasi subito all’interpretazione; inizialmente avrei voluto anche diventare compositore, soprattutto d’opera, ma con il passare degli anni, già durante lo studio, questo aspetto ha perso importanza, nonostante il mio insegnante insistesse in tal senso, avendo colto in me un particolare talento ad imitare gli stili, e quindi un possibile futuro quale compositore per il cinema o il teatro. Potrei riassumere questa duplice vocazione dicendo che quello per la musica è forse un talento ma quella per la scrittura è anche una passione. Scrivere mi fa stare bene anche quando è faticoso, mentre fare musica è stato più volte duro, sofferto e non di rado deludente negli anni. Ora questi due aspetti condividono un raggiunto equilibrio: la musica è la mia principale attività professionale, la scrittura è la confessione interiore che mi dà la gratificazione di esprimere ciò che sono veramente.
Mentre stavo riordinando queste poesie in vista della pubblicazione, mi si è posto concretamente il problema del titolo della raccolta. Ancora una volta ci è voluto l’attimo improvviso di illuminazione per trovare le parole giuste che con un’immagine evocassero simbolicamente il contenuto, l’ambientazione e la storia di queste poesie, e la scelta è caduta sul primo verso di uno dei componimenti che ricorda le emozioni e i sogni d’amore di un adolescente. Attraverso la tradizionale relazione simbolica fra giovinezza e primavera, questo titolo evoca il momento in cui le corolle delle speranze e delle illusioni d’amore si aprivano al tepore della primavera della vita. È il ritratto, in un verso endecasillabo, di un momento sul quale si abbatterono poi la torrida aridità estiva della vana attesa e le tempeste dell’autunno, la fine di ogni speranza e il crollo dei sogni, che è diventato poi la linfa vitale della mia poetica.
Sono sentimenti totalmente vissuti, stati d’animo in cui ero talmente coinvolto che anche al solo ricordo riaffiorano presenti e vivi come allora. E, quando il cuore è del tutto coinvolto in tali emozioni, le parole sgorgano da sole, in un momento di ispirazione e illuminazione che fissa sulla carta quell’attimo fuggente. Alcuni versi sono rimasti tali così come sono nati, altri sono stati rielaborati, ritoccati, perfezionati per giungere ad una versione definitiva che valorizzasse con il ritmo, la musicalità, la scelta delle parole e della metrica il significato e le suggestioni originarie. Spero davvero che queste parole raggiungano il cuore di chi legge e trasmettano quella stessa intensità e profondità di sensazioni ed emozioni che mi animava e sconvolgeva quando le scrivevo, quando ero immerso nei ricordi e quando vivevo quei momenti che suscitavano in me l’irresistibile impulso di scrivere e trovare consolazione nel porre su carta le mie confessioni.
Questo passaggio rappresenta pienamente il mio stato d’animo del secondo periodo di vita cantato nella raccolta, quello in cui la nuova delusione sentimentale fece risorgere i fantasmi, la speranza e il dolore del primo amore adolescenziale. Da allora, nel fondo del cuore questo stato d’animo è rimasto sempre una presenza sorda e pesante, forse perché talmente profonda fu quella sofferenza da restare scolpita nell’anima e non abbandonarla più. Qualcosa è entrato nella vita senza passare più, lasciando un segno indelebile: il primo innamoramento adolescenziale, intriso della poesia di Foscolo e Leopardi e del primo romanticismo letterario e musicale, si è concluso sfiorando il dramma e lasciando un’eredità di tormento, incertezza, insoddisfazione, anche perché si era sovrapposto ad un carattere naturalmente malinconico. L’anima ne è rimasta segnata e non ci è voluto molto perché quella sofferenza e quel vuoto, che mi portavo dentro e che mi impedivano di vedere la vita attorno a me, di fronte ad una seconda delusione, riapparissero rinnovati e altrettanto dolorosi, una decina di anni dopo, periodo al quale appartiene questa poesia.
La vita di tutti i giorni con le sue sollecitazioni e le sue distrazioni, con le sue occupazioni e le sue necessità, finisce spesso per spegnere lo slancio poetico e reprimere tutto ciò che l’anima avrebbe da dire. È lo scontro frontale – che è la tematica principale che ha ispirato anche il mio secondo romanzo – tra arte, poesia e creatività ed esigenze della quotidianità e aridità della realtà. Il poeta tace e si rifugia nel suo mondo, così come il protagonista del romanzo, perché la realtà fuori di lui lo rifiuta, non vuole ascoltare la voce della sua arte e dei sentimenti: la delusione e il senso di rassegnata impotenza portano il poeta a tacere e il giovane uomo a chiudersi alla vita, trovando nel silenzio, nella fuga, nell’eremitaggio il suo sentiero di sopravvivenza. La poesia, tuttavia, termina con un’immagine di speranza: il cuore indomito vuole superare gli ostacoli e le ostilità ed essere riconosciuto attraverso la sua capacità di amare e la sua forza di riprendere a vivere.
Per lunghi periodi della mia vita, la malinconia è stata una mia condizione costante, fin dai tempi dell’adolescenza, in cui non riconoscevo più il mio ruolo in un mondo incomprensibile e ostile. Anche quando le circostanze mi hanno permesso di superare queste fasi depressive che ad intervalli riapparivano, un senso di irresolutezza, rassegnazione e nostalgia di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato è rimasto ed ha trovato un canale di espressione attraverso la scrittura, non solo nella poesia ma anche nelle mie opere di narrativa. Posso affermare che senza questa condizione di anima tormentata, dubbiosa, insoddisfatta, nulla di ciò che ho scritto sarebbe mai stato concepito e portato a compimento, sia perché alcune idee letterarie affondano le loro radici proprio nei periodi raccontati dalle poesie sia perché nelle storie, nei personaggi, nelle emozioni descritte in ogni mia opera c’è lo sfogo liberatorio del cuore inquieto e incapace di trovare una sua dimensione: un cuore che perciò la cerca affannosamente nella fantasia e nella creazione letteraria e che si confessa e si consola attraverso la breve forma poetica, in cui poche parole descrivono appieno il senso del suo dolore esistenziale.
La gioia di vivere intesa come quel “momento di pura gioia” invocato da uno dei miei idoli artistici, Beethoven, è qualcosa che ricordo nell’infanzia e che è svanita rapidamente durante l’adolescenza (era il mio secondo anno di scuola superiore) quando un esaurimento da eccesso di studio fece piombare brutalmente sulla mia vita l’ansia, ossia la paura di ogni cosa della vita, e la depressione, la certezza che non sarei riuscito a realizzare i miei sogni, o meglio, la certezza di non avere più sogni da realizzare. Da allora è stata tutta una continua ricerca di far risorgere la gioia pura e innocente dell’ingenuità infantile, il cui smarrimento ho cantato in alcune di queste poesie quali ad esempio “Il sonno abbandona il mio corpo”, “Oltre quella finestra”, “Innocenza rapita”. È stato un susseguirsi di illusioni, speranze, ricerca ossessiva di qualcosa che assomigliasse al noto “varco” di Montale, la via per ritrovare con la gioia la mia dimensione reale, illudendomi di trovarla ora nella bellezza della natura, ora nei ricordi di bambino (ed invece tornava alla memoria l’immagine che ho descritto in “Natale di bambino”), ora nei primi sogni d’amore che esaltavano la vita in ogni suo minimo particolare. Alcune poesie esprimono proprio questa volontà spasmodica di abbracciare la parte bella della vita, vista con gli occhi di un eterno adolescente, ma le delusioni e le disillusioni erano sempre in agguato e tornano ripetutamente nella raccolta quasi come un monito. Solo con il passare degli anni credo di aver raggiunto una sorta di equilibrio, contemplando i ricordi nella loro lontananza temporale pur sapendo che, nonostante i momenti felici, il peso del passato rende il cammino della vita faticoso e difficile; c’è un antico proverbio orientale che dice: “Il tuo passato ti insegue e prima o poi ti raggiungerà” e non ci è dato sapere se saremo o meno pronti a rincontrarlo.
I ricordi, le emozioni, le rievocazioni di un passato dolce e amaro, gonfio di nostalgia e dolore, sono espressioni di vita e verità umana: un sottotitolo della raccolta sarebbe stato probabilmente “Profonda, autentica umanità”. Non ho fatto ricorso al coraggio ma alla necessità di esprimere ciò che colmava il mio cuore, necessità che è diventata volontà anche se, come dicevo, l’istante creativo va oltre la volontà e la razionalità. Questa necessità ha la forza e il coraggio della verità: l’uomo ama, pensa, crea, sbaglia, ferisce, rimedia, si ostina, si corregge, si smarrisce, si ritrova, in una parola “vive”: ciò che appartiene al mio passato è una sintesi di tutto questo, e non credo sia così diverso da quello di ogni altro essere umano, che forse in questi versi e nelle loro emozioni potrà riconoscere qualcosa di sé. La sensazione che provo, per quanto possa sembrare paradossale, è che più appare qualcosa di me, più prende forma attraverso le poesie l’essenza anche più segreta della mia anima, più questo mi fa sentire forte e determinato: le storie che queste liriche raccontano non è solo la mia vita ma anche la mia verità di essere umano, e la verità, lo sappiamo, è la forza più irresistibile presente nel mondo.
Il mio desiderio è che la mia arte sia di aiuto, sostegno e guida per molti, una via per rendere migliore la vita di chi legge e apprezza le mie opere. Sapere che questo miracolo potrebbe succedere attraverso la mia creatività e l’espressione di questi valori è di una gratificazione indescrivibile. Diverso e più pragmatico è invece ciò che mi aspetto, dato il costante confronto con una realtà che pare refrattaria e ostile al linguaggio artistico in quanto armonia, bellezza, sentimento. Tuttavia la volontà di creare qualcosa che mi pare possa essere importante esiste, nonostante tutto, per cui mi aspetto che ciò che scrivo, o che suono o insegno, possa giungere alla sua destinazione, il cuore di chi legge o ascolta e che vi si riconosce traendone stimolo a pensare, a guardare la propria realtà umana, a cercare la propria verità, a godere della bellezza per stare meglio. Questo in particolare vale per questa mia prima raccolta di poesie, la cui autenticità di sentimenti spero sia riconosciuta, apprezzata e – perché no? – condivisa nel nome di quei valori che sono connaturati all’uomo e dovrebbero aiutarci ad acquisire una nuova consapevolezza, a superare i momenti difficili e a migliorare noi stessi, prima come singoli individui e poi come umanità. In un mondo quale è quello che ci circonda, c’è più che mai bisogno di poesia: se solo si capisse la vera, profonda, irresistibile forza che essa possiede nella sua verità, le si potrebbe affidare la salvezza dell’uomo. Ma l’essere umano, travolto da brama di potere, ricchezza, fama, ancora non riesce o non vuole capire… purtroppo.
Grazie infinite, Daniela! Viva il lupo, sempre!
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DANIELA MEROLA
This post was published on Giu 17, 2025 14:24
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