Cultura

Giovedì Santo secondo Raffele Viviani: tradizioni napoletane tra «struscio» e zuppa di cozze

Giovedì Santo ‘o «struscio» è nu via vaie:
Tuledo è chiena ‘e gente ‘ntulettata,
ca a pede s’ha da fa’ sta cammenata,
pe’ mantene’ n’usanza antica assaie.
– Mammà, ci andiamo? – Jammo. Ma che faie?
– Vediamo due sepolcri e ‘a passeggiata.
E ‘a signurina afflitta e ‘ncepriata
cerca ‘o marito ca nun trova maie.
‘A mamma ‘areto, stanca, pecché ha visto
ca st’atu «struscio» pure se n’è ghiuto,
senza truva’ chill’atu Ggiesucristo,
s’accosta a’ figlia: – Titine’, a mammà,
ccà cunzumammo ‘e scarpe. – L’ho veduto.
E me l’hai detto pure un anno fa.

 

Il giovedì Santo a Napoli

Si tratta di un pellegrinaggio introdotto da San Filippo Neri nel ‘500, che un giovedì Santo decise di visitare le sette più importanti Chiese di Roma.
Oggi, dovremmo visitare almeno tre Chiese, e solo dopo dedicarci alla zuppa di cozze, come ci ha trasmesso Ferdinando I di Borbone, su suggerimento di padre Gregorio Maria Rocco circa la sobrietà gastronomica da osservare prima del venerdì Santo.
Le sette Chiese in cui a Napoli si effettuava il cosiddetto rito dei sepolcri, erano originariamente San Nicola alla Carità, Spirito Santo, Madonna delle Grazie, San Liborio alla Pignasecca, San Ferdinando di Palazzo, Santa Brigida e San Francesco di Paola. Uno “struscio” (dallo strisciare degli abiti) che partiva da Via Toledo per terminare in Piazza del Plebiscito.

(Come immagine di copertina Carlo Brancaccio, dettaglio dell’opera Impressione di pioggia (Via Toledo), 1888. Palazzo Zevallos Stigliano).

This post was published on Mar 29, 2018 18:20

Annalisa Guida

Sognatrice per mestiere, grafomane per passione, art and red lips addicted. Se non esistesse la cultura la inventerei, ma dato che c'è già ho deciso di farne un lavoro e di parlarvene in questa rubrica.

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