Il “settore che per anni ha dato ‘rifugio’ ai napoletani, che da solo vale il 70% dell’economia locale, ormai non funziona più”. Il commercio a Napoli è ko. E la colpa non è solo della crisi. A lanciare l’allarme è Confcommercio Imprese per l’Italia della Provincia di Napoli, nel corso dell’Assemblea dell’associazione napoletana. “Incassi ridotti al lumicino, contraffazione dilagante, prelievi fiscali di Stato e Comune e affitti alle stelle”: questo è il quadro (disperato) del commercio napoletano. “Chi può resistere?” si chiede Pietro Russo, presidente Confcommercio della Provincia di Napoli.
A quanto pare, nessuno ci riesce: negli ultimi sei mesi più di 2mila negozi hanno chiuso i battenti, oltre a 600 tra bar e ristoranti, falliti tra Napoli e Provincia. La situazione è davvero grave. Tanto che, pur di risparmiare, si fa economia persino sulla pensione: “il 50% dei commercianti titolari di negozi non versano i propri contributi all’Inps” spiega Russo. Poi si scaglia contro gli ottanta euro in busta paga. Che sì, servono, ma per pagare le bollette, l’affitto, le spese familiari e le tasse. “E l’ultima trovata del Governo di anticipare in busta paga il Tfr, oltre a privare i lavoratori di quel tesoretto a fine carriera costituisce un’ulteriore tegola che li priva delle risorse utilizzate come autofinanziamento per portare avanti le aziende”.
La crisi dei commercianti si fa sentire anche sull’economia partenopea: il Pil campano ha perso 15 punti dall’inizio della crisi. 5 punti più rispetto alla media italiana. Una situazione che non fa bene alla città e alla Regione.
This post was published on Ott 10, 2014 18:09
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