Parlare di ISIS ai ragazzi, oggi, è un imperativo da cui non bisognerebbe sottrarsi. Bisogna parlarne non per alimentare l’ansia e il disagio e la paura,ma per il loro contrario; per imparare, cioè, a controllare lo sgomento decodificando, storicizzando gli eventi come le emozioni.
Quella dell’ISIS è una realtà che non si può fingere di non vedere, ma che non deve chiuderci nella paura dell’altro e nell’oblio della vera umanità che sempre più spesso soffoca nel bisogno di difendersi e aggredire l’altro affinché, temiamo, non faccia di noi delle vittime.
Tutto ciò che ha un nome esiste, certo, ma tutto ciò che si conosce solo per nome può contenere errori e mistificazioni persino controproducenti nella loro capacità di rappresentare solo i timori che ci affliggono.
Il tema va quindi trattato da diverse prospettive: storicamente (che cosa è l’ISIS, quando è cominciata, perché); socialmente (qual è il suo impatto sulle persone e sulla società da diversi punti di vista; quali sono le responsabilità occidentali per l’attuale situazione e in che modo l’amplificazione dei timori, talvolta “montati ad arte” può influire e condizionare le società occidentali); psicologicamente (come affrontare la paura e la “paura della paura”).
““Parlare di ISIS ai bambini” (Erickson, 2016) è un libro che affronta il tema secondo queste diverse visioni cercando di rendere della situazione un quadro non solo chiaro e semplice, ma anche di supporto a genitori ed educatori che hanno il ruolo di non tacere e negare l’evidenza.
Gli autori (R. Mazzeo, E. Morin, A. Pellai, M. Montanari), studiosi ed esperti di temi storici, psicologici e sociali, leggono la realtà nelle sue molteplici espressioni contemporaneamente suggerendo e invitando gli adulti a conservare una lucida calma e a non tirarsi indietro dinanzi i timori e le mille domande dei piccoli.
Nel libro è rappresentata una realtà quotidiana la cui casualità e appropriazione e/o rivendicazione non è prevedibile; gli autori, allora, argomentano che la paura istiga atteggiamenti insani da cui, invece, bisognerebbe salvaguardarsi: il confronto con il bisogno di proteggersi che è naturale, ma che spesso scade nella necessità di difendersi da tutti, di vedere nemici ovunque e di essere ossessionati da una paura che isola rispetto al resto del mondo.
Si assiste anche a una crescente emulazione da parte di chi, senza mai avere realmente sposato una causa, si auto convince del contrario giustificando le proprie rivendicazioni e disagi personali con un progetto di respiro più ampio.
Ovvio, questa seconda condizione fa “buon gioco” a chi sulla paura costruisce la propria forza legittimando i soprusi e la violenza.
Il saggio è corredato da esempi e schede che facilitano la comprensione e divulgazione delle modalità con cui affrontare il tema con i più piccoli. Di particolare rilevanza sono gli esempi concreti delle modalità di dialogo volte a preparare i piccoli e istruirli, ma, soprattutto, rassicurarli e liberarli dalla tensione che li porta ad annullare la gioia di vivere.
La risposta da dare, asseriscono gli autori, non è tacere o mentire (“a noi non può accadere”), ma affiancare e incoraggiare (“farò di tutto perché non accada e starò al tuo fianco”).
Quello che conta, quindi, è riuscire a costruire legami di sicurezza e affidabilità laddove il terrore tende ad immobilizzare.
Gli autori non negano, e non possono, la difficoltà di <normalizzare> nel quotidiano la violenza possibile e imprevedibile, ma guidano verso soluzioni che non rendano impossibile il pensiero positivo dell’altro che è essenza stessa di vita e di futuro.
In ultima analisi, ciò che conta è conoscere, comprendere anche attraverso i propri limiti, proporre uno stile di vita che perori accoglienza e non divisione; ancora una volta, cuore cervello e azione, insieme, sono e restano una proposta possibile per affrontare gli errori e l’orrore, per riscoprire i valori dimenticati in una umanità smarrita.
di Loredana De Vita
This post was published on Set 13, 2016 8:08
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