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“Io Capitano”, l’odissea dei minori non accompagnati

“Io capitano”, diretto da Matteo Garrone, ha fatto recentemente incetta di premi: David di Donatello, Leone d’argento a Venezia, candidatura agli Oscar come migliore film straniero.

Il film, basato rigorosamente su storie vere di emigrazione dal continente africano. raccolte direttamente dalla voce dei migranti (come quella del mediatore culturale Kouassi Pli Adama Mamadou) ha come protagonisti 2 ragazzi originari di Dakar in Senegal, SeydouSarr e Moustapha Fall,  rispettivamente di 17 e 18 anni.

Il film, raccontando senza retorica ma attraverso gli occhi dei protagonisti che vivono realmente il viaggio tra sofferenza fisica e spirituale, ha il merito di ribaltare la prospettiva dello spettatore che, identificandosi empaticamente nello sguardo e nel cuore dei protagonisti, è indotto a comprendere in profondità quel tragitto che – seppur conosciuto – si preferisce a volte ignorare.

La  storia di Seydou e Moussa, inseparabili cugini senegalesi, rappresenta e riflette infatti l’esperienza concreta di oltre 14.000 minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia ogni anno alla ricerca di migliori condizioni di vita: ragazzi normali, con le stesse legittime speranze e aspirazioni dei propri coetanei europei, che partono a tutti i costi per l’Occidente per inseguire un sogno, per realizzare le proprie aspirazioni, per reclamare pari opportunità.

Dopo aver lasciato le loro famiglie per raggiungere l’Italia e l’Europa attraverso il Nord Africa,vivono l’incubo di un viaggio tra la vita e la morte, umiliazioni e un trattamento disumano in una odissea contemporanea.Questi migranti adolescenti durante il viaggio conoscono la brutalità fisica ed emotiva, l’orrore e le ingiustizie: prima delle organizzazioni criminali che gestiscono il passaggio clandestino nel deserto del Sahara(dove tanti ragazzi sono uccisi dalla fatica, dagli incidenti, o rapinati e abbandonati tra le dune dai trafficanti); poi dei terribili centri di detenzione delle bande criminali libiche e, infine dell’allucinante traversata del Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna.

Un viaggio costellato di insidie, durezza, violenza; un percorso traumatico fatto di fatiche disumane, inganni e violenze indicibili, in cui sopportano estorsioni, furti, minacce, torture, riduzione in schiavitù.

Al di là della corrente narrazione semplificatoria, criminalizzante e falsa del fenomeno migratorio che li considera un enorme peso economico per l’Occidente,molti giovani migranti come Seydou mostrano qualità personali (lealtà, onestà,amore per la famiglia,capacità lavorative, senso di responsabilità a dispetto della giovane età) che viceversa arricchirebbero le fragili società europee. E testimoniano come anche nei momenti più atroci e crudeli e nei luoghi più buisia possibile restare umani, amici e persistere nella speranza, magari attraverso atti di solidarietà verso chi ci è vicino.

Recentemente “Io capitano” è stato proiettato in moltissime scuole italiane, suscitando grande interesse e partecipazione tra gli studenti
Per i nostri ragazzi, bombardati quotidianamente da immagini di violenza e di guerra, l’ascolto e la condivisione delle esperienze dei coetanei migranti africani è una preziosa esperienza di conoscenza (e quindi di di prevenzione del pregiudizio e dell’emarginazione sociale), di didattica che resta impressa perché emoziona, di quella intercultura che dovrebbe essere appannaggio dei valori civici e morali della istituzione scuola.

Le loro storie insegnano ai nostri ragazzi che spesso i “migranti” altri non sono che ragazzi che, come loro, inseguono un sogno; e che il cambiamento per raddrizzare le storture della società parte proprio da loro.

This post was published on Mag 11, 2024 9:23

Mario De Finis

Docente, formatore e autore di testi in ambito universitario. Credo che promuovere insieme una cultura inclusiva e di pace, ispirata da amicizia e solidarietà, possa cambiare la vita e la storia. A partire dai giovani e dai più fragili.

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