giovedì, Aprile 25, 2024
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The art of embroidery: una danza di aghi e fili

di Maria Ferrara.

“Una danza di aghi e fili”, è così che gli artigiani dello Xiangxiu (Hunan Embroidery), il ricamo tradizionale della Provincia cinese dello Hunan, definiscono la loro antica e raffinatissima arte.

Nel 2016 vivevo in Cina e collaboravo con Changsha Eurasia China-Italy Trade Consulting Co., Ltd, un’azienda a capitale 100%italiano, con sede a Changsha, Hunan, specializzata in import-export, commercio e consulenza per aziende cinesi, italiane e di tutto il mondo.

In un umido pomeriggio invernale, Giulia Zappon, General Manager di Eurasia, mi disse: “Maria, oggi dovrai andare a far visita alle ragazze di Shaping”,“Chi sono le ragazze di Shaping?”, risposi, incuriosita.

Giulia e il suo partner, Roberto Tava, sono due imprenditori che hanno deciso di scommettere tutto sullo Hunan. “Quando nel 2012 ci siamo trasferiti dall’Italia a Changsha, abbandonando tutto e tutti, siamo stati lungimiranti ed abbiamo intuito prima di altri cosa stesse per accadere in Europa. Pensavamo, e a ragione, che in quel momento, così come oggi, non ci fosse alcun posto migliore dello Hunan per investire ripartendo da zero con una nuova attività imprenditoriale in proprio”, sostiene Giulia.

Grazie alla professionalità che contraddistingue Giulia e Roberto, oggi, Changsha Eurasia vanta un team esperto, capace di offrire una vasta gamma di prodotti e servizi, divenendo anello di congiunzione tra Oriente e Occidente. “Changsha Eurasia è una fusione armonica di Cina e Occidente, poiché, da un lato manteniamo identità e mentalità occidentali, dall’altro lato siamo perfettamente integrati nell’ambiente socio-economico cinese, conoscendo e rispettando leggi e culture locali”, continua Giulia.

Quello stesso pomeriggio mi misi in metro. Il viaggio per arrivare dalle ragazze di Shaping era lungo. Dovevo lasciare la città rumorosa e caotica e inoltrarmi nelle campagne. Scesi al capolinea e lì presi un pullman, rincorrendolo col rischio di incespicare e cadere. Poco a poco la città e i grattacieli sparirono alle mie spalle e al loro posto comparve l’orizzonte nebbioso e sereno delle campagne. Era lì, lontano dalla confusione, che vivevano le ragazze di Shaping.

Finalmente arrivai a destinazione. La fabbrica, o meglio, l’atelier, era immerso nella natura. Fui accolta da un gruppo di ragazze cordiali e disponibili, che mi offrirono del tè e mi aprirono ai segreti dello Xiangxiu.

Quella dello Xiangxiu è un’arte antichissima, che risale addirittura al cosiddetto “Periodo delle Primavere e degli Autunni” (770 a. C. – 454 a. C.). È realizzata su stoffe di seta pura, mussola o raso. Vengono utilizzati diversi tipi di filo, alcuni con un diametro pari addirittura a quello di un capello! L’arte del ricamo è tramandata di generazione in generazione da piccoli gruppi familiari ed è un’arte soprattutto femminile. Sono le donne, infatti, le ragazze di Shaping, che si occupano di quest’arte millenaria, continuando a praticarla con dedizione e amore.

In quell’atelier, nel cuore antico dello Hunan, vidi lavori straordinari. Ciò che mi colpì di più fu il realismo di quelle opere: grazie al ricamo in cotone, molti elementi come i capelli, la pelliccia degli animali, i vestiti sembravano veri, superando anche i limiti dei colori a olio o degli acrilici utilizzati nelle opere occidentali.

Come più volte evidenziò una delle ragazze che mi accompagnò nella visita, la singolarità dell’embroidery, sta nel suo essere senza limiti. Qualsiasi elemento può essere riprodotto: scene naturali, animali, ritratti, soggetti storici, opere d’arte occidentali, come quelle di Van Gogh o Renoir, assai apprezzate in Cina. La funzione della riproduzione artistica supera il suo limite divenendo rappresentazione. Persino il tempo non ha limiti, dilatandosi durante il processo esecutivo. Una delle artiste,Xiaohan, mi riferì: “Mentre si ricama, non esiste il tempo. Solo l’ago e il filo”.

L’aspetto più magico di questa tecnica sta proprio nella sua capacità di sigillare il tempo. Nato nelle campagne, l’embroidery diventa un veicolo di trasmissione di una cultura millenaria e le opere testimonianza della pazienza e della dedizione con la quale i maestri ricamano, impiegando a volte anche anni per realizzare un’unica opera d’arte.

Come tutti gli artisti, anche i maestri dell’embroidery affidano la propria vita all’arte. Osservando le donne che ricamavano nel laboratorio, infatti, notai che i loro movimenti possedevano lo stesso equilibrio e la stessa delicatezza che si evince dai loro lavori, quasi a voler significare il legame indissolubile tra l’opera e chi l’ha concepita. “Non potrei vivere senza il ricamo, ormai fa parte della mia vita, di ogni mio gesto quotidiano: è nel modo con cui affronto la vita, è nel modo con cui gestisco il tempo”, mi disse una delle ricamatrici. Restai estasiata davanti ai movimenti di quelle mani. Le loro dita erano martoriate, piene di cicatrici, di calli spessi e contorti laddove la punta acuminata dell’ago, anziché la stoffa, aveva incontrato la carne. Eppure, quelle dita si muovevano un con un’eleganza quasi ipnotica, come danzassero al suono d’una melodia che solo le ricamatrici potevano udire. Era davvero quella una danza di aghi e fili.

“Lo Xiangxiu in Occidente, da quanto ci risulta, non è ancora sufficientemente recepito se non a livelli molto alti, ad esempio come dono destinato da alti membri del governo cinese ad alti membri dei governi occidentali, o a livelli bassi, come souvenir. Noi vorremmo, in primis, aumentare il numero di eventi incentrati proprio sullo Xiangxiu, e a seguire innalzare il livello degli eventi stessi, il che equivale a non partecipare alle solite fiere di settore, dove lo Xiangxiu è soltanto uno dei tanti prodotti esposti – mischiato o accomunato ad altri articoli di artigianato o a comuni prodotti industriali “made in China” – bensì esporlo in gallerie e mostre d’arte in Occidente: non dimentichiamo che lo Xiangxiu è una vera e propria arte”, sostiene Giulia Zappon.

Questa danza millenaria di aghi e fili lega indissolubilmente il mondo orientale a quello occidentale. Sin dall’epoca romana, la seta è stata l’elemento di congiunzione tra i due mondi. L’arte millenaria dello Xiangxiu si congiunge, infatti, a un’altra storica produzione, uno degli orgogli italiani del tempo della rivoluzione industriale: l’antica fabbrica delle sete di San Leucio, in provincia di Caserta. Quattro anni dopo la mia esperienza nelle campagne cinesi, nell’autunno 2020, visitai il Real Opificio di San Leucio. Cercavo elementi che mettessero in connessione questi due mondi solo apparentemente agli antipodi.

L’opificio di San Leucio sorge su una collina che sovrasta l’agro casertano. Da lassù si scorgono la Reggia di Caserta, gli antichi territori di caccia dei Borbone e più in lontananza Capri e il mare.

Ad accogliermi c’era la Dottoressa Ezia Pamela Cioffi, Direttrice del Museo della seta del Real Belvedere di San Leucio. Le spiegai subito quale fosse la ragione delle mie ricerche e si dimostrò entusiasta. Mi accompagnò lei stessa in una lunga visita del complesso museale.

“L’utopia” di San Leucio nasce da un’idea di re Ferdinando di Borbone. Stanco della caotica vita di corte, re Ferdinando decise di costruirsi una piccola isola felice dove starsene tranquillo su una collina sopra Caserta. Qualche anno dopo, nel 1778, il re ebbe l’illuminazione: creare una comunità autonoma, con un proprio ordinamento civile e legislativo, fatta di lavoratori e lavoratrici che si occupassero della raffinatissima arte della seta. Gli impiegati dell’opificio non erano semplici operai, ma veri e propri cittadini, che con la loro dedizione, la passione e le capacità avevano dato vita a un esperimento sociale unico nel suo genere.

La Dottoressa Cioffi mi accompagnò in quelle stanze una volta occupate dalle manifatture, in cui ancora si conservano i macchinari originali, come i giganteschi telai rotatori, veri e propri monumenti al genio di quegli artigiani.

Eravamo sole in quelle stanze una volta piene di uomini e donne indaffarate. Fuori pioveva, un tempo molto simile a quello che avevo trovato quel giorno lontano nelle campagne dello Hunan. “Ecco, adesso entriamo negli appartamenti reali”, disse ad un tratto la Dottoressa. Dietro a una porta attigua alla fabbrica, c’erano le stanze un tempo occupate da Ferdinando e Maria Carolina, che adoravano far visita ai loro amatissimi operai e vivere con loro a stretto contatto, quasi a San Leucio fossero state abbattute le barriere sociali. La cosa che mi sbalordì di più fu la stanza da bagno. A imitazione delle grandi vasche termali da poco scoperte a Pompei, Ferdinando si era fatto costruire una gigantesca piscina di marmo che, tramite un condotto sotterraneo, poteva essere riempita di acqua calda. “Ferdinando volle che la volta della stanza fosse affrescata dal celebre pittore Hackert – mi spiegò la Dottoressa Cioffi – ma presto, a causa dei vapori, i dipinti iniziarono a scrostarsi”.

In tutta quella bellezza, i miei occhi erano sempre più avidi di trovare un segno, un elemento di congiunzione tra i due mondi che avevo visitato. Finalmente la mia attenzione fu catturata da un particolare, un piccolo lacerto di stoffa incorniciato e appeso al muro. Su di esso gli antichi artigiani borbonici avevano ricamato dei caratteri cinesi. Però, c’era qualcosa che non andava. “Cos’è questo?”, chiesi alla Dottoressa. “Quel pezzo di stoffa è molto antico. Non se ne conosce bene l’origine, si sa solo che tornò al mittente, perché la partita era fallata”, spiegò la Dottoressa. Mi venne da sorridere. Il committente, probabilmente un facoltoso dignitario cinese, aveva ricevuto una merce fallata perché i caratteri erano ricamati al contrario! Lo spiegai alla Dottoressa e lei rimase piacevolmente sorpresa.

In quel piccolo, quasi insignificante lembo di stoffa la danza di aghi e fili continuava a tessere la storia millenaria dell’arte del ricamo. Due mondi lontanissimi che si ricongiungevano nella seta e nell’amore dei suoi artisti, che generazione dopo generazione avevano dedicato anima e corpo ai suoi meravigliosi segreti.

Quando tornai a casa, molte idee mi vorticavano in mente. Mi sovvennero le parole di Giulia: “Tutto quello che serve è una buona dose di umiltà, apertura mentale, internazionalizzazione e modernizzazione. Ciò che affascina maggiormente i cinesi sono la bellezza, la maestosità, l’ingegnosità, l’antichità e la complessità della nostra arte, così come gli italiani sono estasiati dal perfezionismo degli artisti cinesi, dalla loro saggezza, dalla semplicità e dalla loro spiritualità, intesa come equilibrio tra corpo e mente.” Davanti a quel lembo sottile di stoffa antichissima, ricordando le parole di Giulia, capii che un dialogo era possibile, che un legame, allora come oggi, può e deve essere trovato tra questi due mondi solo apparentemente diversi.

Infondo, è solo questione di bellezza. In ogni luogo e in ogni tempo è questo che ha mosso gli esseri umani, che ha tessuto i legami più straordinari e improbabili: l’eterna, meravigliosa ricerca della bellezza.

Redazione Desk
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Questo articolo è stato scritto dalla redazione di Road Tv Italia. La web tv libera, indipendente, fatta dalla gente e con la gente.
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