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Se il Covid è il nuovo Grinch

Quanto è concreta la minaccia di un Natale sacrificato? Di un cenone più semplice, senza troppi parenti? Riflessioni su quello che sarà un Natale “diverso”

È ormai opinione comune e diffusa che il nuovo scoglio che l’esemplare di italiano -senza apparenti gravi problemi- si troverà ad affrontare riguardi il Natale.
Le feste di Natale, il cenone di Natale, i regali di Natale, il cenone di Capodanno, i botti di Capodanno, il veglione di Capodanno, il capitone, le lenticchie, il bambinello e lo zampone.
L’incognita di come passeremo il periodo natalizio ha la forma di uno spettro inquietante.
Il sabato che ha preceduto la concretizzazione della “zona rossa” in Campania, da molti è stato vissuto come un contemporaneo “sabato del villaggio” leopardiano, tra shopping sfrenato, aperitivi, passeggiate e contatto umano       -fin troppo contatto- nella blanda rievocazione non tanto di un compianto periodo di giovinezza quanto del concetto ormai perduto e labile di “normalità”.
Novembre è un po’l’anticamera dei preparativi di Natale; in televisione comincia il bombardamento assiduo di pubblicità di giocattoli, di biscotti sponsorizzati da Santa Claus in persona, di pandori e panettoni.
Ed è da Novembre che, prima di ogni misura restrittiva, ci viene garantito che si lavora nell’ottica di “salvaguardare il Natale”.
Potrebbe sembrare comico e un po’ troppo melenso? Sicuramente. Eppure entrare nella prospettiva eventuale che la poetica e placida patina natalizia potrà essere disintegrata dalla situazione generale (esulando dall’ovvietà del “c’è chi sta peggio. C’è chi Natale non potrà neanche festeggiarlo”) indubbiamente ci avvolge in una pesante coltre di mestizia; è umano, è inevitabile.
Anche il moderno Scrooge, o il bastian contrario di professione che dal 1910 urla di detestare il Natale, l’ateo incallito, i vari ed eventuali misantropi, probabilmente non sono immuni alla malinconia generale.
Fosse solo perché corrono il rischio di non avere più nulla da odiare urlando a gran voce la propria peculiarità (eventualmente dopo “che schifo il Natale” c’è sempre il famoso “che schifo i gattini”, da provare! Lascia sempre attonito e basito l’interlocutore).
A me il Natale piace. Molto. Perché ho la fortuna di avere una famiglia solida, unita ma anche spesso impegnata e che a Natale riesce invece a raccogliersi. Perché, a prescindere dalla fede che non ho, penso sia una festa un po’mistica, magica a modo suo. Perché adoro ricevere e fare regali, mangiare e bere tanto e bene, riempire ogni angolo della casa con addobbi natalizi kitsch.
Mi piace il Natale anche nel suo becero aspetto consumistico -e penso di non essere la sola- che mi fa avvertire sottopelle dal primo Dicembre un’effervescente voglia di fare festa.
Queste sono vere e proprie fortune. Fortune che non ho fatto nulla per meritare, come tanti altri. Dunque forse, proprio perché siamo fortunati e il Natale ci piace tanto, tra un acquisto e l’altro cerchiamo anche di sciogliere un po’lo zucchero di tutta quella patina e andare alla sostanza, tirando fuori il caro vecchio “amore per il prossimo” sempre utile per lenire ogni senso di colpa.
Questo Natale 2020 però ha voluto strafare; andremo incontro al periodo più caloroso dell’anno, il periodo che per eccellenza dedichiamo a famiglia e affetti e ci andremo ben equipaggiati con amuchina, mascherine e gomiti pronti per essere sostituiti ai comuni abbracci sotto l’albero.
Sarà ugualmente piacevole? Non saprei. Non sono ancora chiarissime alcune dinamiche relative al numero consentito di congiunti e io penso di poter affermare che solo la mia famiglia -includendo il cane come degno membro- è composta da cinque persone ed è anche il nucleo meno numeroso, quindi no, decisamente non sarà piacevole dire a qualche mio cugino “tu non puoi passareee” e poi sbatterlo fuori dalla porta.
Anche perché non ho l’autorevolezza di Gandalf il Grigio.
Sarà diverso? Ovvio. Ma direi che questo ce lo potevamo anche aspettare.
Mi intristisce? Certo. Non sono mai stata un Grinch.
Natale è l’unico periodo dell’anno in cui la mia metamorfosi in Mercoledì Addams ha una lieve battuta d’arresto.

Però penso soprattutto a un medico. Un medico qualsiasi di una qualsiasi regione italiana. Un medico che ha appena staccato dal suo turno di sei, otto, dieci o quindici ore. Un medico che deve necessariamente lasciare fuori dalla porta di casa gli occhi spauriti dei malati prima dell’intubazione. Un medico che per distrarsi, per allontanare incubi fatti di caschi per l’ossigeno e strumenti di saturazione magari sceglie di aprire Facebook. Un medico che si imbatte in discorsi social su pandemie farsa, dittatura sanitaria, 5G, vaccini composti da feci umane, dottori asserviti alle lobby.
Un medico che allora sceglie di sfogliare un giornale, una testata qualsiasi. Un medico che magari legge che gli italiani sono preoccupati perché probabilmente non potranno festeggiare il Natale “in grande”.
Io non sono un Grinch, l’ho premesso.
Però trovo questo scenario davvero molto, molto più triste.

Noemi Gesuè
Noemi Gesuè
-Laureata in Storia moderna e contemporanea alla Federico II. -Alla disperata ricerca di una cattedra a tempo indeterminato. -Divoratrice di libri, film e carboidrati.
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