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Napoli, lo psicologo che assiste i parenti dei malati di Covid-19

By Redazione Desk 1 mese ago

Alberto Vito è il responsabile dell’Unità operativa semplice dipartimentale di Psicologia clinica dell’Azienda ospedaliera dei Colli di Napoli

Alberto Vito è il responsabile dell’Unità operativa semplice dipartimentale di Psicologia clinica dell’Azienda ospedaliera dei Colli di Napoli

“Noi siamo nelle retrovie, lavoriamo con chi è in prima linea come gli operatori sanitari”, ma “non è sufficiente fornire supporto psicologico senza fare prevenzione“, anzi “arrivare dopo può rappresentare una beffa per chi fa turni massacranti, con organici insufficienti e spesso in una situazione di disorganizzazione“.

Alberto Vito è il responsabile dell’Unità operativa semplice dipartimentale di Psicologia clinica dell’Azienda ospedaliera dei Colli di Napoli. Raccontando il suo lavoro con il personale sanitario al tempo della pandemia si sofferma più volte su questo punto.

“Il Covid ha messo in primo piano il tema dell’assistenza psicologica per tutti i cittadini e, in particolare, per medici e infermieri come non era mai avvenuto in passato – spiega – un aspetto che si è affermato molto anche a livello di opinione pubblica. Non è un elemento di poco conto, se consideriamo che la mia professione scontava uno stigma, tanto da ritenere che ne avessero bisogno i matti o che andare dallo psicologo fosse qualcosa di cui vergognarsi“.

Per capire quanto terreno ci sia da recuperare e quante carenze vadano colmate, basta guardare all’esperienza di Vito. “I servizi di psicologia ospedaliera sono limitati al Sud – sottolinea – quella dell’Ospedale dei Colli è stata la prima unità operativa in Campania. L’equipe del Cotugno (centro regionale di riferimento per le malattie infettive, ndr.) è composta da me e da altre due colleghe, Tonia Mariniello e Milena De Cenzo. In tutta la regione i dirigenti assunti a tempo indeterminato come noi saranno tra i 10 e i 20.

Ne servirebbero molti di più, anche tenendo conto che la vita media si allunga e che ci sono sempre più persone da prendere in carico“. In questi mesi, i camici bianchi hanno dovuto sopportare forti pressioni, legate anche alla paura di contagiarsi e di essere considerati allo stesso tempo eroi, ma anche potenziali untori. “è emerso che i gruppi in cui c’è stata capacità di ascolto – evidenzia Vito – hanno funzionato meglio e sono riusciti a bilanciare lo stress quotidiano, che va oltre le ore del turno di lavoro. A volte bastano anche piccoli interventi, come riunioni d’equipe o semplici gruppi Whatsapp, nei quali ci si confronta, ci si racconta la propria giornata o si scherza. Questo tipo di intervento psicologico consolida le relazioni, puo’ prevenire il malessere, mentre l’assistenza individuale, che pure facciamo attraverso consulenze telefoniche, è riduttiva”.

Come è accaduto per i cittadini, anche per gli operatori sanitari il passaggio dalla prima alla seconda fase della pandemia ha fatto segnare delle differenze. “La prima ondata è stata caratterizzata dalla straordinarietà e da una forte attivazione – fa notare Vito – nel momento in cui la battaglia contro il Covid è diventata ordinaria è sopraggiunto un senso di apatia e sofferenza, oltre alla maggiore stanchezza e alla sensazione che non ci sia mai una fine. Dopo gli attestati di stima della prima fase, oggi questi professionisti si sentono mandati in trincea allo sbaraglio e sono visti come possibile veicolo del virus. In questo senso il vaccino è fondamentale, aiuta anche dal punto di vista psicologico”.

Lavorare tra le corsie di un ospedale durante una pandemia significa anche entrare in contatto con il dolore, con la paura della morte, con il lutto e con il dolore di chi resta. “è una condizione terribile – assicura Vito – una delle specificità del Covid è che si tratta di una malattia in cui chi si ammala resta solo, senza i propri affetti, ma allo stesso tempo puo’ essere veicolo di contagio per i propri cari. Non c’è solo il dolore di restare chiusi in una stanza, ma anche quello di avere una madre o un padre che, nel frattempo, lottano tra la vita e la morte. è terribile il vissuto di chi è consapevole di aver portato il Covid a casa, ma c’è anche chi ha perso un affetto e non ha potuto dargli l’ultimo saluto“.

Per questo l’equipe di Vito ha deciso di continuare a seguire i pazienti anche dopo il ricovero e, allo stesso tempo, dall’esperienza del Cotugno è nato il primo ambulatorio in Campania dedicato ai familiari della vittime di Covid. “Non dobbiamo eliminare il dolore di queste persone – precisa – che è giusto e comprensibile, perché è la prova dell’intensità di un amore, ma dobbiamo favorirne l’elaborazione, dare un senso a questa sofferenza per evitare problemi successivi e sensi di colpa inutili“.

Con tutta la sua durezza e pericolosità, la pandemia ha posto al centro l’importanza dell’assistenza psicologica e l’idea che la salute è un concetto che va visto nella sua globalità e non fermandosi all’aspetto fisico. “Ora è compito delle istituzioni, a tutti i livelli, fare tesoro di questa lezione e agire di conseguenza – conclude Vito – non so se questo accadrà. Si tratta di scelte politiche, sindacali ed economiche con cui in apparenza la psicologia c’entra poco. Tuttavia, proprio da psicologo, sento limitata la risposta in termini esclusivamente di aiuto individuale. Occorre un pensiero sistemico. Occorre dare importanza alla disciplina che studia temi quali il benessere, la motivazione, le dinamiche relazionali“.

Redazione Desk

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Questo articolo è stato scritto dalla redazione di Road Tv Italia. La web tv libera, indipendente, fatta dalla gente e con la gente.

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Tags: Alberto Vito, covid 19, parenti dei malati, psicologo

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