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‘L’indifferenza, ammazza più di una lupara’. Incontro con Pippo Giordano

'L'indifferenza, ammazza più di una lupara'. Incontro con Pippo GiordanoLady in the city

Rubrica di Eliana Iuorio

Giuseppe “Pippo” Giordano è stato un ispettore della Direzione Investigativa Antimafia di Palermo.
Un uomo innamorato della sua terra, che non ha mai dimenticato i suoi amici: Giovanni Falcone, Ninni Cassarà e Paolo Borsellino.
Oggi, Pippo, parla ai giovani, scrive, diffonde quegli ideali in cui non ha mai smesso di credere.
Insignito da poco, del “Premio Agenda Rossa” 2012, va avanti con determinazione e passione, alla ricerca della Verità, sostenendo Salvatore Borsellino ed il Movimento Agende Rosse.
La Memoria, offre linfa vitale all’Impegno. E questo, Pippo, lo insegna a tutti, ogni giorno che passa.

'L'indifferenza, ammazza più di una lupara'. Incontro con Pippo Giordano“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. […] Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? […] Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. Una frase tratta da uno scritto celebre, di Antonio Gramsci; ma chi sono, gli “indifferenti”, oggi?

Mi scusi se prima di rispondere alle sue domande, approfitto di RoadTv Italia, per esprimere al dottor Antonio Ingroia, PM della procura di Palermo, particolarmente impegnato nelle indagini di mafia, la mia vicinanza ed affetto per le note minacce recentemente pervenute nei suoi confronti.
Gli indifferenti di oggi sono gli stessi di ieri e saranno quelli di domani. L’Indifferenza è innata negli uomini privi di altruismo e in coloro che dei pregiudizi ne hanno fatto ragione di vita. Voglio qui ricordare un episodio, dove l’indifferenza si è manifestata per intero, mettendo a nudo l’essere umano. Mi riferisco a quella povera ed innocente bambina cinese, uccisa da un conducente di un furgone e che dopo averla fatta stramazzare al suolo, imperterrito si è allontanato come se nulla fosse accaduto. E, nessun passante ha prestato le cure alla piccola vittima, di certo morta con atroce sofferenze. Solo una donna si è fermata e con amore materno l’ha raccolta dall’asfalto. Ma per parlare degli indifferenti di oggi, riferiti nell’ambito mafioso, devo necessariamente voltare lo sguardo al passato, quando poliziotti e carabinieri, assassinati da Cosa nostra, li “seppellivamo da soli”, senza partecipazione della gente. L’indifferenza fa parte di quel retaggio culturale che ahimè anche oggi è l’espressione di una società che guarda più allo spread che ai bisogni di chi sta accanto. Se vogliamo, anche le misure adottate dall’attuale Governo, non sono forse colme d’indifferenza verso l’urlo di equità proveniente da chi fa fatica ad arrivare a fine mese o peggio, da chi un lavoro non c’è l’ha? E, quando milioni di italiani chiedono la verità sulle stragi mafiose del 92/93, non è lo Stato che appare indifferente? Quindi, indifferenti non si nasce ma si diventa e sarebbe ora che tutti, guardassimo al dà del nostro orticello e magari che i miei corregionali siciliani spalancassero le persiani e guardassero con occhi diversi i cosiddetti uomini d’onore. L’indifferenza, ammazza più di una lupara.

Un amico, una sigaretta accesa insieme, un abbraccio, un sorriso… qual è, il Suo ricordo, di Paolo Borsellino?

Il mio ricordo di Paolo Borsellino è fermo, come per altri “miei migliori amici” che non ci sono più, all’ultima stretta di mano, all’ultima sigaretta fumata in una piccola stanza di un ufficio della DIA di Roma. Ho conosciuto Borsellino, all’inizio degli anni ottanta, quando io ero alla Squadra mobile di Ninni Cassarà a Palermo. Poi, il nostro cammino è stato differente, per rincontrarci a Roma dopo la strage di Capaci. Ho rivisto un uomo provato e triste per la morte del suo caro amico Giovanni Falcone, ma ho notato in lui una determinazione davvero eccezionale ed aveva tanta fretta di interrogare Gaspare “Gasparino” Mutolo: una fretta per esorcizzare il dramma e lenire il dolore. Era il pomeriggio di venerdì 17 luglio, quando a termine dell’interrogatorio, ci siamo salutati e dati appuntamento per il lunedì successivo: non ci siamo più rivisti. Quanto vorrei fumare un’altra sigaretta insieme a lui!

1992-2012: venti anni dalle stragi. Vent’anni di misteri, segreti, menzogne. Nel nostro Paese è così difficile, accertare la Verità?

Più che dire, che è così difficile accertare la verità nel nostro Paese, direi che è più facile occultare la verità. E, sì! Il nostro benamato Paese ha il triste primato di vantare il più alto numero di strage terroristiche/mafiose, rimaste impunite. A questo si deve aggiungere la beffa di aver avuto per anni persone recluse, condannate per la strage di via D’Amelio, quando poi, sono risultati innocenti. E, riallacciandomi all’indifferenza di prima, risulta davvero sconcertante che questo grande abbaglio, apparentemente doloso con la manipolazione del pentito Scarantino, non abbia avuto giusta risonanza nel mondo politico. E’ innegabile che un gruppo di magistrati di Palermo e Caltanissetta, stanno facendo tutto il possibile per darci una verità giudiziaria. Ma, è altrettanto possibile che questa verità e ne sono sono convinto, sia già nota a tanti che non vogliono renderla pubblica per un supposto interesse di Stato.

Lei è stato un Ispettore della Direzione Investigativa Antimafia di Palermo. Un sogno avverato, od una scelta capitata “per caso”?

Il mio inserimento alla Dia, non è stato la conseguenza di in sogno, anzi avevo dimostrato ritrosia alla richiesta avanzatami da Gianni De Gennaro. L’intenzione di non farne parte, aveva radice molto lontane, ovvero quando era nata in me la convinzione di non investigare più nei confronti di Cosa nostra. La decisione l’avevo preso dopo la morte violenta di cinque miei colleghi della stessa sezione investigativa della Mobile di Palermo. Infatti, dopo quel periodo ho cambiato ambito investigativo, occupandomi solo di terrorismo italiano e straniero, con una breve parentesi, per coadiuvare Giovanni Falcone negli interrogatori di un noto pentito. Ma Gianni De Gennaro è stato convincente ed avevo dato il mio consenso. Durante l’attesa per essere assegnato alla DIA, è stata compiuta la strage di Capaci e la mia mente e soprattutto il mio cuore è stato tutto per Giovanni Falcone: dopo pochi giorni ero già operativo alla DIA. Giovanni Falcone, col quale ho trascorso parte di 10 anni della mia vita, meritava il mio incondizionato impegno.

Lei incontra ogni anno, tantissimi giovani nelle scuole. Il movimento antimafia, quello culturale, oggi, è sostenuto da tanti cittadini. E’ cambiato qualcosa, nella mentalità e nell’atteggiamento delle persone, in questi venti anni, nei confronti delle mafie?

Un cambiamento di certo c’è stato, ma è avvenuto soltanto nella società e lo registro tutti i giorni. Lo registro negli studenti delle scuole medie, nei liceali e soprattutto nelle varie associazioni che conducono encomiabilmente un impegno costante e propulsivo per combattere il fenomeno mafioso che, ribadisco essere, la vergogna dell’Italia. Tuttavia, dall’Alto”, ovvero da coloro che dovrebbero esercitare. per dovere istituzionale, il cambiamento è ben lungi da arrivare. Anzi, taluni segnali lasciano intravedere un ritorno al passato nel senso che si sta mettendo in discussione quelle che furono le intuizioni vincenti di Falcone e Borsellino, per esempio il concorso esterno in associazione mafiose. Veda, quando a pretesto di un maggior rigore, si tolgono risorse finanziarie alla sicurezza, ciò sta a significare che nella classe dirigente di questo non è cambiato nulla. Eppoi, vorrei rimarcare che non sono credibili le tanto annunciate promesse di lotta alle mafie, quando in Parlamento siedono personaggi già inquisiti e taluni condannati, proprio per mafia.

Per contrastare le mafie, necessaria è la conoscenza di quel che accade; delle dinamiche economiche e sociali. Un ruolo fondamentale, quello del giornalismo d’inchiesta, della corretta informazione, della denuncia. Quello che da anni, porta avanti con coraggio Pino Maniaci, della piccola emittente televisiva Telejato, di Partinico. Il Suo amico, Pino Maniaci.

Sono sicuro che a lei non sarà sfuggito il mio pensiero sulla necessità di avere un giornalismo d’inchiesta serio e soprattutto di denuncia. Sostanzialmente, nessun può mettere in dubbio il ruolo essenziale che il giornalismo investigativo ha avuto e avrà. Non sto qui a ripercorrere i grandi successi o elencare i nomi di giornalisti che io considero Eroi dell’informazione, perché con coraggio scrivono denunciando la mafia. Per Pino Maniaci, è un discorso diverso, talchè egli con la sua piccola ma grande emittente ha sfidato una delle più potente “famigghe” mafiose del palermitano. A Pino mi lega una grande stima e il mio personale riconoscimento per quello che da anni fa, in spregio del pericolo che si è già manifestato con tutta la sua crudeltà. E, spero davvero che la LETTERA A MARIO MONTI PER SALVARE TELEJATO, che io ho spedito ne impedisca la chiusura. Sarebbe un fallimento proprio per quella società che poc’anzi accennavo, ovvero l’artefice del cambiamento.

Memoria e Impegno. Un sogno irrealizzabile, quello di un Paese libero dalle mafie?

Il disonore di pochi uomini, può ferire l’onore di tanti onesti italiani che vivono nel rispetto della legalità, ed il mio auguro è che ognuno di noi possa finalmente dire : le mafie? Ah! Una volta c’era la mafia, ma ora è solo il ricordo di un lontano passato.

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Redazione Desk
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Questo articolo è stato scritto dalla redazione di Road Tv Italia. La web tv libera, indipendente, fatta dalla gente e con la gente.
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