venerdì, Aprile 19, 2024
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La finalità sociale dei beni confiscati alle mafie

Sono 25 anni che è in vigore la legge nr. 109/96 ovvero la legge che prevede l’ utilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie. Una legge ottenuta grazie soprattutto all’ impegno convinto e tenace di Libera.

È noto che l’ utilizzazione di  un bene sottratto alla criminalità mafiosa ha una valenza simbolica non di poco conto, perché dimostra che lo Stato riesce a essere più forte dei clan mafiosi restituendo alla collettività i beni che i criminali si erano appropriati e, quindi, quanto più questi beni confiscati hanno un impatto positivo nel territorio tanto più si influisce sul consenso del quale le mafie si avvalgono.
Infatti, le mafie sono innanzitutto dei poteri criminali e, come tutti i poteri, sono tali perché hanno un determinato consenso. Parlo di consenso e non di omertà che è un altro tipo di fenomeno negativo in ordine a un territorio dominato dalla mafia.
Ecco perché è indiscutibile che la riuscita economica e/o sociale del bene confiscato rappresenti un caposaldo importante nella lotta alle mafie, legittimando agli occhi della opinione pubblica gli Organismi statuali e tutti i soggetti sociali, civili e politici che operano per contrastare concretamente lo strapotere mafioso.
Una delle differenze fondamentali tra criminalità organizzata e criminalità mafiosa sta nel fatto che per la prima il territorio è solo il luogo in cui si commettono i reati dell’ associazione criminale, mentre per la seconda il territorio è qualcosa da dominare, oltre a essere il luogo in cui si consumano una serie di delitti gravi e meno gravi.
Non a caso poc’ anzi facevo riferimento alla categoria del simbolico, in quanto confiscare alla mafia un bene sta a rappresentare una vera e propria riconquista del territorio da parte dello Stato. Una riaffermazione di sovranità da parte dello stesso.
Anche da questo punto di vista, è fondamentale che tutti i protagonisti che operano nell’ ambito della legge richiamata abbiano la possibilità di raggiungere l’ obiettivo della legge stessa.
I soggetti gestori dei beni confiscati, o che ambiscono a diventarlo, devono essere aiutati dalla Pubblica Amministrazione, in tutti i suoi settori coinvolti in questa importante attività, a partire dall’ Agenzia Nazionale per l’ amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata che va assolutamente potenziata, infatti ha un personale numericamente insufficiente rispetto alla importanza delle funzioni a cui deve provvedere.
Inoltre, gli Enti locali a cui vengono affidati i beni non sempre hanno dimostrato una particolare sensibilità e capacità relativamente ai beni assegnati.
In buona parte, dipende molto da una certa farraginosità normativa che andrebbe quanto prima superata.
Il fattore tempo anche e soprattutto in questa importante problematica ha una sua rilevanza.
Un fenomeno molto scoraggiante che attiene alle aziende mafiose è quello che numerose falliscono dopo il provvedimento ablativo.
È indubbio che ciò accade per il fatto che, essendo una azienda gestita direttamente o indirettamente da mafiosi, si avvaleva di una serie di illeciti vantaggi, tra cui una liquidità senza limiti e tali situazioni di vantaggi, naturalmente, vengono meno successivamente al sequestro.
Inevitabilmente, però, quando una azienda chiude dopo i provvedimenti dell’ Autorità Giudiziaria, una certa vulgata secondo la quale “con la mafia si lavorava, con l’ antimafia si perde il lavoro” prende maggiore vigore, a proposito di consenso tra mafia e antimafia.
Credo che questo sia il punto più dolente, facendo un bilancio dell’ applicazione della legge 109/96.
Occorre, quindi, che il legislatore provveda a degli interventi finalizzati al superamento di queste criticità, prevedendo delle linee di credito speciali per queste aziende, scongiurando il pericolo di chiusure.
In tal senso qualcosa è stato fatto, ma in modo ancora insufficiente.
L’ applicazione della legge di cui sto parlando ha avviato in modo sempre più consistente una vera e propria economia sociale che non solo ha coinvolto una serie considerevole di cooperative, ma che ha avuto un impatto sociale virtuoso.
Nel senso che l’ economia sociale che è stata innescata può rappresentare sia una alternativa concreta alla economia criminale, ma anche ad una economia in quanto tale. Una economia diversa da quella che sin qui abbiamo conosciuto.
È un aspetto non sufficientemente considerato e tematizzato, infatti il numero piuttosto alto di beni confiscati così alto, se gli stessi vengono gestiti con le modalità sociali sopra accennate, potrebbe diventare, e non penso di esagerare, un importante filone di un nuovo meridionalismo che, a partire dalla originale gestione dei beni confiscati, può trovare una nuova stagione caratterizzata  dalla costruzione di una capacità economica gradualmente auto propulsiva del Meridione.
Non è un caso che alcuni principali esponenti del mondo cooperativistico del casertano che si occupano della gestione dei beni confiscati sono stati consultati in varie zone del Paese e anche da parte di alcuni Stati europei.
Evidentemente, ciò è avvenuto perché sono stati constatati gli effetti positivi della menzionata attività cooperativista e la promettente nuova modalità di sviluppare l’ economia.
Non dimentichiamo che la consapevolezza di dover riconvertire l’ economia per ridurre l’ impatto ambientale sta coinvolgendo sempre più soggetti nazionali e mondiali.
L’ applicazione della legge 109 ha dimostrato l’ utilità della stessa nella lotta alle mafie. Ha ulteriormente arricchito il quadro normativo italiano previsto per il contrasto al fenomeno mafioso e ha dato anche la possibilità di allargare la partecipazione a questo fronte di lotta, soprattutto tra le nuove e nuovissime generazioni.
Questo dimostra la lungimiranza di chi si è fatto propugnatore di questa legge, a dimostrazione che per cambiare le cose occorrono i sognatori, i visionari, gli utopisti. Coloro che si dicono e dicono agli altri: “perché non cambiamo lo status quo”?
Vincenzo Vacca
Vincenzo Vacca
Sono un artigiano della scrittura. Provo a scrivere non per un desiderio estetizzante, ma per un bisogno di provare a sollevare dubbi. Le certezze esibite mi inquietano. Mi ritengo un uomo che fa domande e mi incuriosiscono le risposte che, in genere, non mi soddisfano.
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