giovedì, Marzo 28, 2024
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Abolita la pena di morte in Maryland: è il 18esimo stato americano.

“Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettano uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio”. Così parlava Cesare Beccaria, intellettuale italiano figura di spicco dell’Illuminismo, a proposito della pena di morte, nel suo trattato “Dei delitti e delle pene” datato 1764.

Il 2 Maggio 2013 anche il Maryland dice ‘basta’ alla pena capitale: il governatore Martin O’Malley, ha firmato il disegno di legge già approvato dalla Camera dei rappresentanti e dal Senato dello Stato che prevede l’abolizione di questa e la sua sostituzione con l’ergastolo senza possibilità di libertà condizionata. O’Malley, democratico, da anni si batte per la causa e ha partecipato in prima persona alla stesura del testo. Con il Maryland, sono ben 18 gli stati americani ad aver voltato pagina, mettendo al bando la pena di morte e con essa una delle più grandi contraddizioni dei tempi moderni.

Fu negli anni Settanta, a seguito dei numerosi omicidi politici che videro come vittime anche Martin Luther King e John Fitzgerald Kennedy, che negli Stati Uniti d’America si diffuse, nell’opinione pubblica, la paura: il problema della sicurezza scavalcò, per importanza, la lotta e l’impegno per i diritti civili. La presenza della pena di morte avrebbe, secondo la comune mentalità del tempo, impedito al fenomeno omicida di dilagare. Una minore frequenza di omicidi, inoltre, avrebbe favorito una rapida ascesa del mercato immobiliare anche nelle periferie ed un boom economico per gli stati che su questo cercavano di basare la propria economia (soprattutto California, Texas, Arizona e Florida): le proprietà acquistavano un valore talvolta proporzionale al grado di sicurezza di cui godeva la zona dove si trovavano.

Particolare fu il caso delle elezioni presidenziali del 1988. Il candidato democratico Dukakis veniva rappresentato come un difensore bendato dei diritti dei criminali peggiori: una grande campagna pubblicitaria contro di lui, infatti, portava all’attenzione dell’opinione pubblica il caso di William Horton, un afroamericano omicida, stupratore e sequestratore, il quale commetteva i suoi crimini approfiddando di una legge tutto sommato clemente. La presentazione della pena di morte come uno dei pilastri su cui la democrazia americana si reggeva portò, invece, il candidato repubblicano Bush senior alla vittoria elettorale.

Oggi, nel 2013, grandi passi avanti sono stati fatti in nome della civiltà, della crescita e dello sviluppo: eppure la pena capitale è ancora adoperata in gran parte degli stati africani, ma anche in Cina, in India, in Medioriente e, appunto, Stati Uniti d’America. La legge del taglione, in vigore presso gli antichi, prevedeva la possibilità riconosciuta ad una persona che abbia ricevuto un’offesa di infliggere all’offensore una pena eguale: una sorta di vendetta privata legalizzata, con lo scopo di limitare la degenerazione dei dissidi in vere e proprie faide. Sono passati millenni, ma c’è ancora molto da fare per difendere il diritto alla vita, per arrivare ad una strabiliante intuizione risalente al XVIII secolo.

Sonia Mazzella

Redazione web
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